La caccia alle streghe in Toscana, così come nel resto d’Europa, non iniziò come spesso si crede nel Medioevo ma nel Cinquecento, gettando un’ombra sinistra sul brillante fervore artistico-culturale del Rinascimento.

 

Caccia alle streghe in Toscana: l’ombra sinistra del Rinascimento

Nel nostro comune immaginario il Cinquecento in Toscana rappresenta l’apogeo luminoso del Rinascimento, le arti di Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, le feste splendide della corte medicea, l’insegnamento pisano di Galileo Galilei che, nell’ultimo quarto del secolo, con lo sguardo rivolto agli astri, muoveva i primi passi verso l’elaborazione del metodo scientifico.

Eppure per la Toscana e l’Europa, il Cinquecento ed il Seicento furono anche i secoli ipogei della caccia alle streghe; capitolo di storia tanto inquietante che noi, figli della Modernità allora agli inizi, abbiamo finito per retrodatare erroneamente al Medioevo.

La caccia alle streghe in Toscana come in Europa non si svolse nel Medioevo, ma iniziò nel 1500, gettando un'ombra sinistra sul Rinascimento

La caccia alle streghe nel Medioevo

In realtà gli uomini medievali non credettero alle streghe. A tal proposito era chiara l’autorità del Canon Episcopi, capitolare carolingio, (erroneamente datato al 314, immaginandone un’origine legata all’antichissimo concilio di Ancira), riguardante i racconti di alcune donne, convinte di sbizzarrirsi nottetempo in aeree cavalcate al seguito della dea Diana. Il Canon negava la realtà di simili esperienze, per cui le scellerate, illuse dal demonio, non rischiavano più che qualche penitenza religiosa.

Il processo culturale che portò a mettere in discussione l’autorità del Canon, fu molto lento; per quanto già nel 1320, la commissione teologica riunita da papa Giovanni XXII, deliberasse di assimilare il maleficium all’eresia.

Fino ad allora quanti si erano ritenuti vittime di magie perniciose, avevano sporto le proprie denunce soprattutto presso i tribunali laici, mentre raramente l’Inquisizione aveva indagato i maghi, le incantatrici o le loro dottrine; da allora in poi invece, sia il potere temporale sia quello spirituale, a volte collaborando altre entrando in conflitto, si sarebbero interessati alla questione.

Indebolendosi il Canon, fu premessa fondamentale della caccia alle streghe anche la fioritura letteraria di sempre più numerosi ed inquietanti trattati, riguardanti le malefatte dei demoni e delle fattucchiere, come l’ancora oggi assai noto Malleus Maleficarum (1487) o il più toscano Strix (1523) di Giovanni Pico della Mirandola.

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Pratiche sciamaniche e conoscenze popolari

Lentamente, una componente rilevante delle élite europee giunse a convincersi della realtà dei voli notturni, come di crimini ben più demoniaci. Nel calderone che si andava agitando, finì così per adombrarsi il sospetto anche sopra alcuni tipi di conoscenze popolari, come quelle solitamente femminile riguardante le virtù delle erbe curative o tradizioni contadine legate all’antico paganesimo, ma che fino a quel momento erano state considerate per lo più innocue.

Secondo l’insigne studioso Carlo Guinsburg, i teorici della caccia alle streghe rivestirono di abiti demoniaci, piuttosto che i resti del paganesimo classico, pure non estranei, un antico complesso di pratiche sciamaniche, basate sul viaggio estatico nell’aldilà.

Anche senza accettare una forzata contrapposizione tra cultura alta e cultura bassa, stanti una diffusione ed una comunicabilità non univoca delle credenze come un lato minaccioso del potere della guaritrice (chi sa compiere il bene, sa anche compiere il male?) trascendente i diversi livelli sociali, pare plausibile che nei tribunali, lo sguardo dei giudici abbia interpretato, secondo un modello dotto e letterario, un sostrato di antiche credenze che poco avevano a che fare con il demonio e l’infanticidio.

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Un’immaginaria società occulta

In ogni caso, all’avvio della caccia alle streghe, una volta che lo stereotipo stregonico assunse una codificazione stabile, si giunse ad accusare le “streghe” di fare parte di una vasta società occulta da “teoria del complotto”, per fare ingresso nella quale occorreva stringere un patto con l’infernale guida della confraternita, ovvero il diavolo

Le streghe si dedicavano quindi al cannibalismo, all’infanticidio, alla preparazione di un terribile unguento, capace di avvelenare a morte con il semplice contatto o di permettere il volo verso i luoghi segreti del sabba. Proprio del rituale del sabba, processi e trattati presentano racconti ricchi di varianti: certo è che vi si svolgeva un’oscura cerimonia, tra i cui elementi ricorrono: il rovesciamento dei valori cristiani e della messa, la presenza del diavolo, l’apostasia della fede in Dio, banchetti smodati, l’insegnamento di arti malefiche, orge con i demoni.

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Il processo inquisitoriale contro Sibilla e Pierina

Il processo inquisitoriale contro Sibilla e Pierina è rappresentativo del mutamento che abbiamo tratteggiato. Nel 1384, le due donne furono condannate dall’inquisitore di Milano, per avere preso parte al gioco della Signora Oriente o Erodiade che il giudice identificò con la dea pagana Diana. Innanzi alla Signora Oriente era proibito nominare Dio, tuttavia la sua presenza risultava tutt’altro che inquietante: ella si lasciava seguire da animali ed esseri umani, morti o viventi, ai quali insegnava cose segrete e l’arte di predire il futuro; se i partecipanti al gioco banchettavano con un animale, Oriente lo riportava in vita e donava la sua benedizione alle case tenute in ordine

L’inquisitore, fedele alla tradizione del Canon Episcopi, attribuì una natura puramente illusoria al gioco di Oriente, impartendo alle due imputate soltanto una penitenza lieve. Passati sei anni, tuttavia, Sibilla e Pierina tornarono innanzi al tribunale, ammettendo le medesime colpe; il nuovo inquisitore, più aggiornato, reputò i racconti del gioco veri alla lettera: seguì il rogo delle poverette.

Fu probabilmente la nuova formazione culturale dell’inquisitore, a far sì che Pierina ammettesse anche di essersi data al diavolo, scrivendo il patto con il proprio sangue. I processi dell’Età Moderna, sarebbero presto giunti a perdere memoria di figure benevole come la Signora del Gioco per legare le streghe esclusivamente al maligno.

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La caccia alle streghe in Toscana

Per la Toscana del XIV secolo non si sono conservati, se mai furono redatti, documenti illuminanti sulla caccia alle streghe come le carte processuali di Sibilla e Pierina. I tribunali, oltre agli eretici, ricercarono soprattutto individui, capaci di evocare i demoni.

Nel 1383, l’inquisitore generale Pietro Lippi di Firenze aveva scoperto, in possesso di Agnolo da Corso de Rugomagno, un libro ove si insegnava come adorare ed invocare Sathan e Belzebub, “in forza di questi se possono fare molti mali, intra’ quali se fa con certe invocationi de demoni morire un uno homo a stento et fase venire l’uomo.. dietro ogne femina e molte altri effecti vituperosi et pericolosi“.

Siamo all’oscuro di cosa fu di Agnolo, ma certo l’inquisitore si peritò di avvertire, per lettera, i Capitani del Popolo di Siena, entro la cui giurisdizione si trovava il castello di Rugomagno (oggi Rigomagno). A Sassetta nel pisano, nello stesso periodo e per similari delitti, un prete fu scoperto e imprigionato, come anche, a Firenze, Niccolò Consigli, che però aveva già subito una censura per questioni legate all’eresia ed in caso di una seconda condanna inquisitoriale, la pena stabilita era il rogo.

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La storia di Franceschina di Lippi Caleffi da Roma

A Lucca, contro Franceschina di Lippo Caleffi da Roma, intervenne un tribunale laico. Franceschina viveva nella casa dei coniugi Bacciomeo e Regolina, ove si era preoccupata di curare loro figlio Cristofano e di preparare alcuni brevi per la famiglia. I brevi altro non erano che sottili bande cartacee o pergamenacee, compilate di formule augurali, da portare cucite alle vesti, utili anche per respingere diversi mali, naturali e non.

Se i brevi erano oggetti di uso comune, non lo era la capacità di parlare con i morti: si narra che lo spirito di Giovanna, un tempo moglie di Bacciomeo, apparve a Franceschina dichiarandole di non avere pace, a causa di alcuni debiti che lei ed il consorte avevano mancato di onorare. Per Giovanna, l’ex marito assunse un pellegrino che raggiungesse Santiago de Compostela. Per Bacciomeo, Franceschina invitò l’uomo a procurarle la sabbia della foce dell’Arno, l’acqua dello stesso luogo, nonché quella benedetta di cinque pievi.

Non siamo a conoscenza dell’utilità di tali sostanze, ma è certo che secondo i documenti dei magistrati, mentre Bacciomeo era in viaggio, Franceschina tentò di saccheggiare la casa nella quale era stata accolta, ma (tentando la fuga?) non riuscì a passare le mura di Lucca. I giudici ritennero che i brevi e l’altrettanto comune miscela dell’elettuario con la quale Franceschina aveva curato Cristofano, costituissero piuttosto artefici demoniaci, con i quali la malefica, mathematica (forse il termine allude all’astrologia) incantrice aveva fatto impazzire Bacciomeo e Regolina. La donna andò al rogo nell’ottobre 1346.La caccia alle streghe in Toscana come in Europa non si svolse nel Medioevo, ma iniziò nel 1500, gettando un'ombra sinistra sul Rinascimento

Caterina e Niccolosa, altre due vittime del sistema

Franceschina non fu mai definita strega, come non lo furono a Firenze, verso la fine del Trecento, Caterina del fu Agostino e Niccolosa, colpevoli di aver sedotto alcuni uomini servendosi della magia.

Caterina, pur condannata al rogo, (l’amato Paolo che aveva lasciato la moglie per convivere con lei, apparteneva alla famiglia Rondinelli, troppo potente per tollerare lo scandalo), si salvò nascondendosi, fino a quando sotto il governo dei Ciompi la condanna fu cassata; mentre Niccolosa fu frustata pubblicamente lungo le vie della città e imprigionata per un anno.

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La caccia alle streghe in Toscana nel Quattrocento

Nel Quattrocento furono indagate circa dieci persone tra uomini e donne, senesi e fiorentini, accusati di pratiche demonologiche o inguaiati dalla magia amorosa.

L’unica condanna a morte fu, nel 1427, quella di Giovanna di Francesco da Scarperia, la cui imputazione riguardava i tradizionali filtri d’amore. Tuttavia, nel caso di Giovanna, il tribunale si impegnò a dipingere la sfortunata quale figura oscura e lugubre, nonché a ricostruire i dettagli degli incantesimi; tale attitudine va forse considerata quale la prima traccia dello sviluppo culturale che avrebbe condotto alla caccia alle streghe anche tra Firenze e Siena.

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La caccia alle streghe in Toscana come in Europa non si svolse nel Medioevo, ma iniziò nel 1500, gettando un'ombra sinistra sul Rinascimento

Il vero inizio della caccia alle streghe in Toscana

La caccia alle streghe in Toscana iniziò in ritardo rispetto ad altri territori. Nelle regioni vicine infatti, già le “streghe” volavano ed uccidevano i bambini piuttosto che preparare filtri d’amore, e già si delineava il rito del sabbat. Dobbiamo infatti aspettare la metà del Cinquecento, per la precisione, stando ai documenti conservati, lannus orribilis 1540 per macchiarci anche in Toscana di questi infami delitti.

A Siena Lucia da Pienza confessò rapporti carnali con il diavolo e di avere guasto diversi bambini: fu punita con il rogo; mentre in una San Miniato ancora sconvolta dalla peste e dalla guerra di papa Clemente VII contro l’ultima Repubblica Fiorentina, i magistrati medicei si convinsero di punire quattro “vere e proprie streghe”, impiccando e bruciando Nanna, Ulivetta, Cecca e Diamante.

Forse, assieme alla ricerca del capro espiatorio dopo un periodo difficile, anche l’intenzione di manifestare il ristabilimento dell’autorità medicea, contribuì ad accendere la fiamma: offuscata dagli splendori artistici dei Medici, la sinistra luce gettò un’ombra inquietante sul Rinascimento e sulla nascita della Modernità.

 

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