5 / 6 – L’inizio della bonifica della Maremma nell’Ottocento

L’inizio della bonifica della Maremma

Dal Settecento inizia la dura lotta umana contro le vaste paludi e gli acquitrini costieri, fiumi senza argini che allagavano le terre fittamente coperte da boscaglie e macchia mediterranea. La malaria intanto continuava a mietere vittime a ritmo serrato, tra cui lo stesso granduca Ferdinando III di Lorena il quale, in visita in Maremma, contrasse la malattia e morì nel 1824.

Al suo spopolamento si aggiungeva la scarsa fertilità della terra che permetteva solo una piccolissima produzione di grano e inoltre, come se non bastasse,  nei primi decenni del Settecento si verificò un altro flagello biblico, dato che la regione fu periodicamente invasa dalle cavallette. I cronisti dell’epoca annotano che nel giugno 1711 apparve dal mare un’immensa nube di locuste che oscurò il sole e ricoprì rapidamente tutta la campagna intorno a Piombino. Negli anni successivi le invasioni di cavallette proseguirono (fino al 1786) estendendosi a nuove campagne e distruggendo oltre 70 miglia di terre coltivate.

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Inoltre vi erano anche difficoltà giuridico-amministrative che ne ostacolavano lo sviluppo. Sui terreni di pascolo vigevano le “bandite per usi” (pascolo gratuito per i residenti) e le “bandite per fida” (affitto dei pascoli per la comunità).

I pascoli restanti erano di proprietà granducale (dogana di pascolo) e potevano essere affittati a privati o dati “per fida” a forestieri. Dal momento che tutte le pasture maremmane erano di competenza della Dogana di Siena, era vietato recintarle anche se possedute da privati. Questo faceva sì che gli animali in libertà o incustoditi fossero decimati dalle piene dei fiumi (oltre 8.000 affogarono nella piena dell’Ombrone del 1749) o dalle epidemie.

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