Perché ad Arezzo e in generale nell’aretino del sud (per capirsi in Val di Chiana sì, in Val d’Arno no) si dice: “Alò”? Cosa significa esattamente Alò e come è entrato a far parte del dialetto aretino? Vi raccontiamo la storia di Alò e dell’epoca in cui i Franchi di Carlo Magno trasformarono Arezzo in un potente vescovado.

“Alò”, come nasce l’espressione più tipica del dialetto aretino

L'espressione più tipica del dialetto aretino è Alò, un'interazione derivata dal francese

Ad Arezzo, alò è come il dé a Livorno, una parolina magica che s’infila da tutte le parti, buona per qualsiasi cosa. In un solo giorno un aretino è capace di pronunciare quest’espressione una cinquantina di volte senza nemmeno rendersene conto. Il parlato quotidiano ne è talmente imbevuto da non consentire più la scissione di questo termine da alcune espressioni ormai consolidate:

alò, che te movi“. Ossia: “ti muovi? Forza, ti dai una mossa?“. “Alò però!“: può essere in diversi contesti e significa “Dai però!” (dai però stai attento, dai però che fai? dai però, guarda dove metti i pedi, ecc…).

Alò, s’arparte!“, trad: “Dai che si riparte!” (espressione tipica ad Arezzo, utilizzata quest’anno per la campagna abbonamenti dell’Arezzo calcio).

Cosa significa alò?

Il significato di alò? Molto ampio, come abbiamo detto, visto che ormai da secoli si tratta senz’altro della parola più popolare di Arezzo e dintorni: “Alò” è infatti un’interiezione, un richiamo, un intercalare, una premessa, un saluto, una sentenza. Con ogni probabilità retaggio della presenza francese sul territorio.

Dialetto aretino: perché a Arezzo e in Val di Chiana si dice alò?

A Cortona, come in tutta la Val di Chiana , si utilizza l'espressione Alò, tipica del dialetto aretino.

Il vocabolario Treccani recita: “alò”, interiezione – variante di allò (o più esattamente riproduzione della pronuncia francese di allo: usata anche come voce generica di richiamo, o per apostrofare, con vario tono, una o più persone: alò! vogliamo andare?; alò! a che gioco giochiamo?

Interessante è che il dizionario di gran lunga più importante della nostra lingua la tratti come un’interiezione generica senza far riferimento a regionalismi di sorta. Se ne dovrebbe dedurre, quindi, che per il Treccani “alò” è italiano a tutti gli effetti. Mentre invece la fiorentina Accademia della Crusca stranamente non ne parla.

La Slangopedia dell’Espresso scrive:
Ad Arezzo si usa molto spesso la parola alò, probabilmente derivata dal francese allons=andiamo, che è infatti il suo significato. Viene posta spesso alla fine di una frase o per cominciarne una, es: “Alò, vado a casa“, traduzione: “È arrivato il momento, vado a casa”.

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Alò e Alé!

Campagna abbonamenti Curva Sud Arezzo: Alò s'arparte

Il blog sul dialetto aretino di Mario Palazzini aggiunge: alò 1) I° persona plurale del presente indicativo “andiamo”, 2) esortazione del tipo su, via. Dal francese allons = andiamo, con caduta delle consonanti finali. Presente anche la II° persona plurale “alé” dal francese “allez” con le stesse caratteristiche.

Ecco che si stabilisce quindi un rapporto diretto con un’altra notissima espressione, “alé”, altra interiezione familiare che deriva dal francese allez! «andate!», ossia “su via!, forza! avanti!” come espressione di incitamento: “alé, divertiamoci!”. Oppure, l’alè del tifo sportivo: alé Fiorentina (alé Pisa, alé Arezzo, eccetera). Chi non ha mai sentito gli ultras cantare: “forza Viola alé, sempre insieme a te!” Ossia: Viola (Fiorentina) noi siamo sempre insieme a te, ma tu vai però. Sorta di augurio e insieme incitamento, sprone.

A questo punto si può ipotizzare con alto grado di probabilità che alò (come alé) sia un retaggio della presenza francese sul territorio. Ma in quale epoca i francesi erano presenti nella provincia di Arezzo?

I francesi ad Arezzo

La Cattedrale dei Santi Pietro e Donato a Arezzo

Dopo il crollo dell’impero romano, Arezzo, pur subendo un ovvio declino dovuto alla crisi istituzionale e alle invasioni barbariche, mantenne comunque una sua importanza durante i secoli bui dell’Alto Medioevo a causa del prestigio secolare acquisito e della favorevole posizione sulla via Cassia. Terra di confine tra i domini dei Goti e l’esarcato bizantino di Ravenna, fu uno dei primi centri occupati dai Longobardi. I Goti e i Longobardi ebbero molta influenza sulla composizione etnica e sulla lingua degli aretini.

L’avvento dei Franchi di Carlo Magno, poi, mutò radicalmente le cose dato che questi privilegiarono i rapporti con quello che ritenevano il più alto potere locale, il vescovado, tanto che Arezzo era divenuta sede di episcopato. Si tratta di una delle poche città di cui sono noti tutti i vescovi che si sono succeduti fino a oggi. Sotto la protezione del vescovo si sviluppò nel contado aretino anche un nutrito numero di abbazie che contribuirono a ricostruire un sistema di scambi e un minimo di ambito culturale.

Enguerrand de Coucy: vendesi Arezzo per 40.000 fiorini

Porta San Lorentino ad Arezzo fa parte della cinta muraria della città toscana.

Un altro momento in cui Arezzo conobbe un breve dominio francese fu nella seconda metà del Trecento in cui la città venne saccheggiata più volte da parte di soldataglie mercenarie chiamate in soccorso ora dai guelfi, ora dai ghibellini. Ultimo fu il capitano di ventura francese Enguerrand de Coucy che transitava nella zona diretto a Napoli, assoldato dalla parte ghibellina appena espulsa dalla città. Enguerrand prese con facilità quel che rimaneva di Arezzo, ma nel mentre il suo signore Luigi d’Angiò moriva, lasciando l’armata senza scopo e senza denaro.

Firenze ne approfittò subito offrendo al capitano francese 40.000 fiorini perché consegnasse Arezzo, ed egli accettò. Quindi Enguerrand valicò l’Appennino, recando con sé la preziosa reliquia della testa di San Donato, patrono di Arezzo. Non appena arrivò a Forlì, Sinibaldo Ordelaffi, il signore della città, riscattò la reliquia, che tenne con grande venerazione fino a che non fu restituita agli aretini.

Considerate tuttavia le vicende, e il male che Enguerrand de Coucy fece ad Arezzo, è molto più probabile che l’espressione “alò” si sia formata sotto i franchi che sotto di lui.

Tempi moderni

La serie di etichette di Nutella con il dialetto, tra cui si trova anche Alò

Oggigiorno “alò” è addirittura diventato un brand. Ci sono maglie e felpe con la scritta stampata nei mercatini di Natale, è il nome di almeno un bar e di una paninoteca in città, e persino la Nutella, tre anni fa, propose un’edizione limitata del vasetto più celebre di crema spalmabile, personalizzandola con l’espressione per i supermercati della provincia. Inoltre esiste una pagina facebook che conta ben 13mila like.

 

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