28 Marzo 2017 2017-03-28T16:29:51+02:00 Gianluca Baroncelli, il barone del jazz e del blues TuscanyPeople Vieri Tommasi Candidi Share: Intervista a Gianluca Baroncelli, sassofonisita e clarinettista toscano che da anni con i suoi strumenti allieta le atmosfere di eventi, cene di gala, matrimoni, diffondendo nell’aria le note a ritmo di jazz e blues. Gianluca Baroncelli, il Barone del Jazz e del Blues Ricordate il sassofono di Gianluca Baroncelli che durante la terza cena segreta di Tuscany People, a Villa Le Fontanelle, increspava nell’aria note ondulate, calde, si arrampicava in graffianti evoluzioni sonore ed elettrizzanti discese roche, sfiatate? Be’, adesso il sassofonista e clarinettista pratese, il “Barone del Jazz e del Blues” o semplicemente “The Baron“, com’è affettuosamente chiamato, è qui con noi per raccontarci la sua bella storia. Gianluca, da dove nasce la passione per la musica? “Da mio padre, classe 1927. Era un sassofonista/clarinettista che negli Anni ’40-’50, pur non avendo avuto la possibilità di studiare – essendo la mia una famiglia di agricoltori che viene da Castelnuovo nel comune di Prato -, raggiunse ottimi livelli accompagnando Johnny Dorelli o facendo le stagioni al «Lupo Bianco» all’Abetone. Tanto che negli Anni ’50-’60 ha conosciuto Gino Paoli, Mina e tanti altri personaggi di quell’epoca. Dopo un periodo d’interruzione, riprese nel ’75 – io avevo quattro anni – con un progetto, «I maledetti toscani», un’orchestra di musica da ballo”. Quindi tu hai mangiato “pane e musica”? “Mio padre ascoltava jazz e suonava lo stesso sassofono che io suono adesso, un contralto Selmer Mark VI del ’59, bellissimo strumento vintage, uno Stradivari del suo genere. Ho cominciato suonando principalmente il clarinetto, come mio padre. Ho ascoltato tanto Benny Goodmann, Gualdi, Artie Shaw, tutti i clarinettisti di un certo livello e, come sassofonista, soprattutto Jerry Mulligan, baritonista, tra l’altro. Di lui, tra i cinque e gli otto anni, penso di essermi bevuto tutta la discografia più volte. Però mio padre non voleva che suonassi, mi teneva lontano dalla musica, secondo la mentalità dell’epoca non era una cosa saggia e produttiva, tuttavia io scelsi lo stesso di fare il Conservatorio come esterno. Ma al Conservatorio la musica classica non mi piaceva, dentro di me c’era l’impellente bisogno di improvvisare“. E allora come hai fatto? “Purtroppo non sono riuscito a diplomarmi nonostante i molti esami sostenuti. La Commissione comprese che io studiavo poco il clarinetto e suonavo prevalentemente il sassofono e non mi passò”. Che peccato: “Sì, ma la base e la disciplina classica mi sono rimaste e mi sono servite tanto. A diciotto anni mollai il clarinetto e continuai col sassofono in un percorso totalmente diverso da quello classico. Dovetti ricominciare da capo, ma non del tutto perché il sassofono è figlio del clarinetto. Adolf Sax, il belga inventore, era un costruttore di clarinetti. Da lì non ho mai più suonato la musica classica. Per anni ho lavorato in un’industria tessile otto ore il giorno e poi per 4-5 ore studiavo il sax a casa. Molto, molto sacrificio”. Quando hai iniziato il percorso da professionista? “Già durante il mio apprendimento alla «Verdi» di Prato avevo il mio quartetto jazz, all’inizio un trio che si chiamava «Three Horses» e che faceva jazz degli Anni ’40-’50, Be Bop, Hard Bop, si parla dell’’86-’87, avevo 15-16 anni. Poi fondammo la «Verdi Jazz Band». Ma la prima band vera e propria è stata gli «Overtime», durata 15 anni. Eravamo cinque, suonavamo fusion, da Chick Corea fino a musica originale. Il band leader era Massimo Salvi con cui tuttora sono rimasto in ottimi rapporti. Suonavamo al Jazz Club di Borgo Pinti, al Cencio’s Club di via de’ Saponai a Prato, facevamo le estati a Monte Morello. Avevamo anche una cantante: Virna Querci. È stata la mia prima band semi-professionale, provavamo tre volte alla settimana”. E adesso insegni anche? “Ho 12 allievi, insegno il martedì e il mercoledì a una scuola molto bella e attrezzata che si chiama «Musikalmente», in via Montegrappa a Firenze, oltre che privatamente nel mio studio a Prato. Mi emoziona moltissimo sentirmi chiamare Professor Gianluca Baroncelli”. Raccontami un po’ le tue esperienze, cose particolari, da bravo musicista quale sei “Ti posso dire che nel ’94, un giorno che ero di turno nella ditta tessile, dalla disperazione di non poter suonare mi feci male volontariamente, finii all’ospedale e da quel momento mi licenziai e cercai di far diventare la musica il mio lavoro. All’inizio sostituivo sassofonisti in un’orchestra che proponeva anche liscio, logicamente non mi piaceva e non andavo bene. Poi sono entrato in un’orchestra che faceva Dance e Revival, la “Max De Palma Band“. Con loro ho fatto un anno e mezzo. Giravamo bei locali come La Capannina di Franceschi al Forte dei Marmi, e per fortuna niente liscio. Ma dopo un po’ ero stanco di stare dietro, così un’agenzia di Viareggio, “Giancarlo Santini“, mi notò e mi propose di creare una società con un musicista bravissimo conosciuto da poco, Albano Castrese – basso, chitarra e voce – che adesso considero un fratello. Formammo quindi un gruppo, Sharade, e per cinque anni, dal ’96 al 2001, siamo stati la band principale de «La Bussola» di Focette. Abbiamo accompagnato musicisti come Alan Sorrenti, Gino Paoli, Califano e artisti come Panariello e altri. Stessa cosa ne «La Capannina» con Heather Parisi, tanto per citarne una. In quel periodo ero il front-man numero 1, suonavo, cantavo, facevo di tutto, senza basi o playback, al massimo delle sequenze. Poi i tempi sono cambiati”. E tu dovevi per forza stare al passo coi tempi. “Nel frattempo ho partecipato a una trasmissione televisiva in RAI, «La prova del fuoco», con Timperi. Vinsi la puntata ed ebbi la proposta dal maestro Pierazzoli di fare «Domenica In» come sassofonista, ma per me era economicamente più vantaggioso rimanere nel giro versiliano. Tuttavia ero sempre quello che leggeva l’omnibook di Charlie Parker, e negli anni cambiai i musicisti della band assumendo quelli che avevano il «black inside» perché ho sempre amato la musica nera, gli «Earth, Wind and Fire» e tutto quello che viene dal blues. Però nel 2003 quei locali non andavano più, quindi o ci scioglievamo o optavamo per un’altra strada. Venni in contatto con Casa Bar, un ottimo locale di Zurigo. Lavoravo già al Caffè Concerto Paszkowski – con cui ormai collaboro da ventuno anni, adesso come Art Director -, uno dei locali più importanti d’Italia, la domenica finivo da loro, sei ore di macchina con la mia band ed eravamo in Svizzera a fare le session. L’unico gruppo jazz italiano, il resto erano statunitensi. Lì ho avuto l’opportunità di conoscere Chris Harper che ci ha portati quattro anni e mezzo negli States, principalmente a Chicago, a fare blues. Una musica che amavamo, ma di cui non conoscevamo tutte le potenzialità che lui invece è riuscito a mostrarci. Abbiamo avuto la fortuna di accompagnare in tour e registrare in studio con i più bravi bluesman dell’area dell’Illinois. Ho fatto delle esperienze pazzesche. Ho suonato al Blues Festival di Chicago davanti a ventimila persone e ho veramente capito cos’è questo genere di musica: una meravigliosa chiave per il cuore delle persone che forse il jazz, più intellettuale per natura, non possiede nello stesso modo”. Durante la Supper Club ci è piaciuto molto come ti muovevi, come interpretavi lo strumento, come parlavi alla gente attraverso la musica: “Sono così, se vedo che qualcuno mi ascolta faccio qualcosa di personale, instauro un rapporto, mi unisco agli altri senza disturbarli. Se non mi ascoltano invece soffro. Ho bisogno del contatto quasi fisico”. Dove vedi Gianluca Baroncelli tra dieci anni? “Un po’ più in là con l’età ho scoperto di avere delle doti organizzative che mi derivano anche dai sacrifici e dai conti che ho sempre dovuto fare in vita mia. Oltre che del Caffè Concerto Paszkowski sono anche Art Director del Caffè Centrale a Montecatini e attualmente porto avanti una trattativa per ottenere la direzione artistica di un Gran Hotel molto importante a Forte dei Marmi, di cui, ovviamente, taccio il nome. Paszkowski, per esempio, da piano-bar leggero com’era considerato qualche anno addietro, ha finalmente riallacciato un bel rapporto con la clientela fiorentina, si è raffinato molto in quanto a proposte musicali ed ha acquisito un suo stile, con progetti spesso totalmente live: durante la cena, musica soft, più tardi si può osare di più. In tal modo si coinvolgono tutte le generazioni. Questo, in sintesi, credo sia il futuro di Gianluca Baroncelli: organizzare palinsesti al meglio”. La scuola però è importante, no? Una grande responsabilità insegnare agli allievi… “Sì sono d’accordissimo, oltreché una passione che sento forte dentro”. In attesa di avere ancora la sua bellissima musica ad allietare le nostre orecchie, facciamo a Gianluca Baroncelli un grande in bocca al lupo per la sua carriera. Riproduzione Riservata © Copyright TuscanyPeople Share: Informazioni sull'autoreVieri Tommasi CandidiScrittore & Ambassador of Tuscany [fbcomments url="https://www.tuscanypeople.com/gianluca-baroncelli-musicista-sassofono/" width="100%" count="on" num="3"]