2 / 4 – Intervista a Francesco Farfa, famoso dj internazionale di origini toscane

A che cosa pensi quando sali in consolle e inizi a mixare?

Studio molto l’impatto sonoro del DJ che suona prima di me, auspicando che mi lasci qualcosa di neutrale da cui ripartire, un suo ultimo brano che mi dia la possibilità di incanalarmi coerentemente al suo set. Sono un DJ che lavora per la serata e non per me stesso. È una forma di rispetto sia per chi organizza sia per il pubblico stesso. Cerco sempre di essere molto rilassato, osservo, studio e cerco di intercettare le vibrazioni della gente, portandole, piano piano, dentro la mia onda sonora. Nel mio percorso ho cercato di perfezionare il fattore psicologico di questo mestiere.

Fattore molto importante, secondo me, per creare empatia con il pubblico, educandolo alle sonorità più difficili da assimilare, sperimentando molto con la musica di ricerca, ovviamente non dozzinale. Poi il lavoro si fa insieme con il pubblico e anche con il reparto tecnico che cura l’impianto audio. L’impianto audio è come un’automobile da corsa, devi capire come lavorarci e guidarlo. Si tratta di trovare una buona intesa con i tecnici del suono, che possono avere pregiudizi su di te, dato che molti DJ non hanno la minima cognizione di come si gestiscono i volumi alla fonte del mixer e, ovviamente, in molti di questi casi vengono messi dei limitatori che peggiorano la qualità pur di salvaguardare i materiali, da possibili danni dovuti alle continue distorsioni.

Francesco farfa, dj internazionale di origini toscane

Quanto influenza il ‘’seguito’’ sui social rispetto alla qualità artistica?

Oggi conta molto l’immagine ma… personalmente utilizzo i social in modo essenziale, perché preferisco dare più peso alla qualità del mio operato. Partiamo dal presupposto che essere un bravo DJ non è così difficile. Guardando i video tutorial e seguendo i trucchi, si può imparare anche abbastanza velocemente, poi ci sono le storie montate, vedi il fenomeno Paris Hilton o Gianluca Vacchi, che con il loro potenziale economico, e anche un po’ di faccia tosta, si sono insediati in un mercato frivolo, fatto di persone che seguono l’effimero, il clonaggio dello stereotipo. C’è anche tanta mediocrità che fissa uno standard che va bene a tutti.

Parlando di cose serie… ‘bravo’ non è un livello che mi accontenta. Un DJ per me deve avere quella caratteristica speciale che lo rende interessante intrinsecamente, e la differenza, secondo me, la fa chi è unico. Per valutare la performance di un DJ devo vederlo e ascoltarlo almeno 2/3 volte, devo capire quello che fa, le sensazioni che trasmette. Un DJ vero è più artigiano che artista, esprime un pensiero attraverso frequenze, così il vibe si alimenta. Mi piace che la gente balli senza incitamento gestuale, da intrattenitore. Prediligo il divertimento spontaneo da parte del pubblico, senza condizionamenti pacchiani, ma solo attraverso l’espressione vibrazionale che il viaggio musicale emette. Affinchè ciò si manifesti, è necessaria una buona dose di libero arbitrio, da parte dell’ascoltatore danzante.

A pagina 3 Francesco Farfa ci racconta la fondazione movimento della Techno Progressive anni ’90.

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