Vivi l’incanto dei racconti popolari toscani. Scopri le storie tramandate di generazione in generazione, raccolte anche in celebri libri.

Racconti popolari toscani: la linfa della tradizione

Come accade per qualsiasi luogo, più o meno ampio, in cui le persone condividono lingua, dialetti, storia, valori e tradizioni, anche la Toscana ha molti racconti popolari da raccontare. Talmente tanto che sarebbe impossibile dar conto qui, in un ridotto articolo web, di tutte le novelle toscane narrate dalle nonne ai nipoti. Tra l’altro, a onor di cronaca, esiste anche un celebre libro intitolato “Le novelle della nonna. Fiabe fantastiche”, che raccoglie 45 storie scritte da Emma Perodi (giornalista e scrittrice) e inserite dentro una cornice narrativa ambientata in Toscana alla fine dell’Ottocento.

Statua della Lupa con i gemelli a Siena

“Le novelle della nonna. Fiabe fantastiche”, di Emma Perodi

In questo volume si narrano le vicende dei Marcucci, famiglia contadina con struttura patriarcale che abitava in un podere nel Casentino. Come d’abitudine, d’inverno, ogni domenica sera i familiari si radunavano davanti al focolare, e Nonna Regina raccontava a nipoti, figli e nuore storie che, da tradizione, prevedevano quasi sempre una morale religiosa in cui angeli e santi eran sempre pronti a difendere il malcapitato dal diavolo di turno. Da notare che tutte le fiabe fantastiche che la nonna narra nei vari capitoli sono ambientate nel Casentino stesso, e che da molte di esse trapela il rapporto non proprio amichevole che la popolazione di allora intratteneva con Firenze.

Racconti popolari toscani senza tempo

Se questo è senz’altro un libro molto interessante e istruttivo, che vi consigliamo di leggere – pur con l’avvertenza che non vi si trovano esattamente le favole della Disney, e che alcune di esse potrebbero apparire ai bambini anche un po’ oscure e paurose -, oggi vi parleremo di alcuni racconti popolari toscani che nei secoli hanno assunto una loro vita quasi autonoma, tanto da passare di bocca in bocca perpetuandosi nel tempo.

Nell'Abbazia di San Galgano e nell'Eremo di Montesiepi, Siena, si può vedere l'autentica spada della roccia e magari trovare il Santo Graal.

La vicenda di Siena e della lupa senese

Un racconto del XIII secolo fa risalire Siena a Senio, figlio di Remo ucciso, come tutti sanno, dal fratello Romolo, che in seguito non cessò di perseguitarne i figli, Senio e Ascanio. Si racconta dunque che i due giovani fuggissero su due cavalli, uno bianco e uno nero, portando con sé il simulacro della lupa capitolina. Giunti sulle rive del fiume Tressa, territorio abitato da boscaioli e pastori, organizzarono un primo accampamento a cui aggiunsero tre fortificazioni sui tre colli su cui ancora oggi sorge la città di Siena, per potersi difendere dall’assedio dei sicari inviati da Romolo.

Ecco perché Siena accoglie, tra gli altri, come proprio simbolo, la lupa capitolina e la sua Balzana accampa i colori bianco e nero, in onore ai cavalli dei due fratelli fuggiaschi. Se poi si attribuisce la fondazione di Siena a Senio, ad Ascanio si attribuisce quella di Asciano, noto borgo delle Crete Senesi.

La leggenda di Sant’Antimo

La leggenda di Sant’Antimo è una storia suggestiva che in Toscana si tramanda da generazioni. Questa leggenda racconta la storia di un giovane pastorello di nome Antimo, il quale si diceva avesse un legame speciale con gli animali e la terra. Un giorno, mentre si prendeva cura del suo gregge, Antimo s’imbatté in un gruppo di viaggiatori che si erano persi. Senza esitazione, Antimo si offrì di guidarli verso la loro destinazione e, in cambio, loro gli donarono una piccola statua di Sant’Antonio, patrono delle cose perdute.

Nel corso degli anni Antimo divenne noto per la sua gentilezza e la sua capacità di aiutare i bisognosi. Spesso pregava Sant’Antonio per ottenere una guida, e si racconta che il santo gli apparisse in sogno, offrendogli consigli e sostegno. Nel tempo Antimo fu così tanto amato dalla popolazione locale che venne edificata una chiesa in suo onore, mentre la statua di Sant’Antonio che aveva ricevuto in dono divenne simbolo di speranza e fede per la comunità. Oggi la splendida abbazia di Sant’Antimo – complesso monastico edificato all’inizio del XII secolo e abitato nel tempo dai monaci benedettini -, in Val d’Orcia, ai piedi dell’Amiata, rappresenta una delle architetture più importanti del romanico toscano.

Per approfondire: Abbazia di Sant’Antimo: lo spirito della Val d’Orcia che si eleva di bellezza

Esiste in Italia un luogo simile alla Contea del Signore degli Anelli? Sì, è la Val d'Orcia: tra Siena e Grosseto la Terra di Mezzo di Toscana

Borgo a Mozzano e la leggenda del Ponte del Diavolo

Il medioevale Ponte della Maddalena, conosciuto come “Ponte del Diavolo”, unisce le due sponde del fiume Serchio in prossimità di Borgo a Mozzano, in Garfagnana. Eretto nel XIV secolo per iniziativa della contessa Matilde di Canossa, il ponte è caratterizzato da un’interessantissima asimmetria strutturale: un grande arco e altre arcate di grandezza variabile si snodano per tutta la sua lunghezza creando quella che in gergo si definisce una “schiena d’asino”. Qualcosa di talmente particolare da far nascere addirittura una leggenda.

Si narra infatti che il capomastro che all’epoca sovrintendeva ai lavori del ponte accettasse l’aiuto di Satana per riuscire a portarlo a termine in tempo. Il demonio avrebbe però preteso in cambio la prima anima che avrebbe valicato il ponte. Il capomastro tuttavia si rivelò ancora più furbo del diavolo, ingannandolo e inducendo un cane ad attraversare il ponte. Ecco perché si dice che nelle sere d’autunno il demonio appaia ancora sul ponte sotto le spoglie d’un cane bianco, vagando rabbiosamente e ululando in cerca del capomastro contro cui avrebbe promesso eterna vendetta.

Il Ponte del Diavolo o della Maddalena di Borgo a Mozzano al tramonto

La bellissima e controversa Sirena di Montecristo

Si sa, le sirene sono creature tanto belle e seducenti quanto letali, e il loro scopo è attirare i marinai verso un crudele destino grazie alla loro irresistibile voce incantevole. E così, anche tra questi nostri racconti popolari toscani non poteva mancare il mito delle sirene. Tanto che anche la sirena che viveva sull’isola di Montecristo, al largo della costa toscana, cantava da par suo alle navi di passaggio facendole schiantare sulle rocce e sprofondare nel fondo del mare. Leggenda che ha ispirato molti scrittori e artisti nel corso degli anni, al punto che l’isola di Montecristo è ancora avvolta nel mistero, accresciuto anche dal famoso romanzo di Dumas, Il conte di Montecristo.

Si narra che la sirena di Montecristo fosse incredibilmente seducente, dotata di lunghi capelli fluenti e di una voce ipnotizzante che poteva incantare chiunque la udisse. Si narra anche che molti marinai fossero stati così attratti dal suo fascino da finire in mare e perdere la vita.

Eppure, nonostante questa reputazione di creatura così pericolosa, si diceva anche che la sirena potesse apparire benevola e talvolta salvasse i marinai che si trovavano in pericolo in alto mare. Tanto che in alcuni casi li guidava in sicurezza sulle rive del Monte Cristo, dove sarebbero stati accolti dagli abitanti dell’isola e curati. Alcuni addirittura sostenevano che la sirena avesse il potere di esaudire i desideri e che coloro che le facevano offerte sarebbero stati benedetti dalla buona sorte. Oggi la leggenda della Sirena di Montecristo continua ad affascinare i visitatori dell’isola che vengono ad ascoltare la sua storia, forse cercando d’intravederla fra le azzurre acque cristalline tutt’intorno.

Per approfondire: Isola di Montecristo, terra proibita dell’Arcipelago Toscano

"Il Conte di Montecristo" nasce durante un viaggio di Alexandre Dumas padre con il futuro Napoleone III tra le isole dell'Arcipelago toscano

La leggenda della bella Marsilia

Tra i racconti popolari toscani, ne troviamo uno ambientato nel lontano 1543 in Maremma durante un’invasione di pirati turchi capitanati dal famigerato Barbarossa. Il fatto, non improbabile storicamente, è alla base della leggenda. Il territorio era stato precedentemente dominato dalla famiglia degli Aldobrandeschi che cedettero la proprietà intorno alla metà del Trecento ai Marsili, famiglia senese che lo tenne a lungo anche quando fu incorporato nel Granducato di Toscana al confine col cosiddetto Stato dei Presidi, breve corridoio attraverso il quale la casa regnante spagnola poteva raggiungere i propri possedimenti d’Oltralpe.

Il toponimo si lega al nome di un’appartenente alla famiglia, la bella Marsilia, giovinetta di circa sedici anni di una bellezza sfolgorante per il colore fulvo dei capelli e per gli occhi color del mare. Le versioni, come spesso capita nelle leggende, sono diverse, ma ciò non toglie che la base storica sia comune a tutte.
Pare infatti che la bella Margherita di Nanni Marsili, detta anche la Rossa, rapita e trasferita a Costantinopoli, divenisse la preferita del Serraglio del Gran Signore Solimano cui avrebbe dato anche un discendente.

Consigli di lettura su “racconti popolari toscani”? Eccoli qua

Leggende e racconti popolari della Toscana, di Gastone Venturelli, Newton Compton Editori; Cento racconti popolari lucchesi, di Idelfonso Nieri, Libreria Editrice Fiorentina; Racconti popolari toscani, di Anna L. Quici, Lucio Pugliese Editore; Racconti toscani 2019 Vol. 1, Historica Edizioni; Il molino del Granduca. Civiltà contadina. Racconti toscani, di Mario Giusti, Ecig Edizioni.

Ragazzo legge libro sotto un grande albero

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