6 Febbraio 2022 2022-02-25T14:34:25+01:00 L’ossessiva ricerca della felicità può portare infelicità. Ma la Toscana in sé è già una cura TuscanyPeople Vieri Tommasi Candidi Share: A Yale il corso più seguito della storia dell’università riguarda la ricerca della felicità. Ma è possibile fare un corso su come essere felici? Ma soprattutto: che cos’è davvero la felicità? A Yale, un corso che insegna la felicità Di cosa parliamo in questo articolo: Perché gli studenti si iscrivono numerosi al corso sulla felicitàEssere perfetti: è davvero questo il segreto della felicità?Dove si trova la vera felicità?Stendhal e la sua personale estasi fiorentinaLa Toscana, terra veicolo di felicità Yale, la celebre università di New Haven, nel Connecticut, una delle più prestigiose al mondo, tra le proprie materie d’insegnamento raggiunge senz’altro l’eccellenza in giurisprudenza, arte, teologia, ecologia, musica, medicina, management, architettura e teatro, anche se da qualche anno uno tra i corsi più popolari risulta essere The Good Life, in cui la Dottoressa Laurie Santos, professoressa di psicologia e ideatrice delle lezioni, spiega agli studenti semplicemente come poter raggiungere la felicità. Sì, esattamente così, un corso di sole 19 ore sulla felicità, che nel 2018 ha addirittura stracciato ogni record rivelandosi come il più seguito nei 317 anni di vita dell’università. Insomma, le persone bramano di sapere come fare a essere più felici. Però prima bisogna mettersi d’accordo su cosa s’intenda per felicità, perché se non si chiarisce il concetto alla base, come si può raggiungere l’obiettivo, sempre ammesso che sia raggiungibile? Sarebbe come pretendere una terapia senza avere la diagnosi del male. La ragione per cui gli studenti si iscrivono così numerosi al corso sulla felicità Be’, a quanto pare, la motivazione che ha spinto un così alto numero di studenti a iscriversi è la crescita in modo significativo della spinta “a essere perfetti nel corpo, nella mente, nella carriera”. In altre parole, mirare alla perfezione sarebbe avvicinarsi alla felicità. E pertanto ne discenderebbe necessariamente che la perfezione del corpo, della mente e della carriera equivarrebbe alla felicità stessa. Però verrebbe subito da opporre una facile obiezione: visto che per definizione l’essere umano è imperfetto, ne conseguirebbe un’impossibilità congenita alla felicità. Ma è vero questo? Saremmo tutti condannati a un’ineluttabile infelicità? O non si tratta d’altro che del falso corollario di una premessa sbagliata? Perfetti nel corpo, nella mente, nella carriera: è davvero questo il segreto della felicità? Domandiamocelo seriamente: davvero la felicità può essere rappresentata dalla significativa crescita della spinta “a essere perfetti nel corpo, nella mente, nella carriera”? O magari questa “spinta” è solo il frutto di un’istanza sociale che c’indirizza verso una sempre maggiore competizione, una sempre maggior pressione, un sempre maggior stress, ossia verso una sempre maggiore infelicità? Immaginiamo di essere un atleta che vuole battere un record. Per noi battere il record equivale alla felicità. Con grinta, forza, determinazione, riusciamo a battere il record. Lì per lì gloria, festeggiamenti, magari anche denaro, ma poi? Un altro record? E poi? Un altro ancora? Ossia la felicità sarebbe un succedersi di record? E poi, quando non si può più battere un record, cosa rimane? Quando saremo migliorati fino al nostro massimo, allora saremo felici per sempre? È questa la felicità? ottenere il massimo da noi stessi e per noi stessi? È questa la felicità? raggiungere la vetta? lasciarsi indietro tutti gli altri? anche noi stessi? verrebbe da aggiungere. Se così fosse allora la felicità sarebbe di pochi, di pochissimi, perché solo in pochissimi possono raggiungere la vetta, altrimenti, se potessero raggiungerla tutti, non sarebbe la vetta, ma una stazione intermedia, per così dire, che preluderebbe a vette molto più alte. Ma è possibile pensare che la felicità sia riservata solo a pochissimi e che tutto il resto sia condannato alla perenne infelicità? O forse è la definizione di felicità che hanno dato gli studenti di Yale che non funziona perché permeata da un grave errore di fondo, ossia che essere al top equivarrebbe a essere felici? Dove si trova, allora, la vera felicità? Se però allora sentirsi al top non equivale a essere felici, ma molto più probabilmente a essere infelici senza saperlo; se sentirsi al top è solo un simulacro, un’illusione, dove sta la vera felicità che dovrebbe essere possibile per tutti, anche per quelli non al top? Su, alzi la mano chi ha la risposta giusta, quella valida per chiunque, per qualunque clima e latitudine. La verità è che la risposta giusta non c’è, non esiste. La felicità è uno stato di coscienza particolare che non corrisponde a nessun parametro umano, a nessuna ricetta che preveda ingredienti ben precisi. Si può essere felici anche se non al top, anche se stiamo per morire, anche se siamo soli, abbandonati e poveri, perché anche in questi casi estremi possiamo raggiungere momenti di vera estasi, di vera comprensione, che in altri stati materiali più gaudenti non raggiungiamo. Stendhal e la sua personale “estasi” fiorentina Tuttavia esistono aspetti della nostra vita materiale che possono favorire l’insorgere spontaneo di questi momenti di felicità. Nel 1817, durante il suo Grand Tour d’Italia, Stendhal si trovava a Firenze. Un giorno entrò nella Basilica di Santa Croce, e dopo un po’ iniziò a sentirsi male. Il cuore gli prese a battere forte, provava vertigini, capogiro. Tutte quelle opere di straordinaria fattura, così compresse in uno spazio limitato, erano davvero troppo per un amante dell’estetica come lui. «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere». Cos’è questa grande emozione che descrive Stendhal, se non un barlume di felicità? E tra l’altro, non è stato neppure il solo, perché a Firenze ogni anno centinaia di turisti, persone particolarmente sensibili, sono colte da sintomi simili. Allora domandiamoci: era “al top”, Stendhal, quando ha provato questo squarcio di felicità davanti alla grande bellezza di Santa Croce? No, anzi, fisicamente si sentiva male. E ancora: sono “al top” tutti i turisti che ogni anno a Firenze si sentono male nel suo stesso modo? Era forse al top, Buddha, quando raggiunse il Nirvana? Povero in canna, lontano da casa, abbandonato dai suoi adepti, non mangiava quasi nulla da settimane, eppure in quella sera di maggio ebbe la sua estasi, ossia il massimo della felicità che possa raggiungere un essere umano. Però era immerso nella natura, nella bellezza, come Stendhal. Perché la bellezza, l’arte, l’armonia, loro, sì, sono veicoli per la felicità. La Toscana, terra veicolo di felicità Ecco, noi di TuscanyPeople, pur consci che la felicità sia uno stato di coscienza singolare e irripetibile per ogni essere umano, crediamo che certe terre come la nostra Toscana possano contribuire a favorirla, perché talmente dense di bellezza naturale e artistica, talmente intrise di armonia, che è impossibile per un animo sensibile non sentire dentro di sé un’esplosione di gioia e passione, che forse non saranno proprio la felicità, ma una strada verso di essa, una stairway to heaven, probabilmente sì. Firenze, Siena, Lucca, Pisa, Arezzo, tutte le nostre città d’arte, tutti i nostri meravigliosi borghi, da San Gimignano a Pienza, da Volterra a Montepulciano a Sovana, sono veicolo di felicità. I nostri mari, le nostre spiagge, i nostri litorali, sono veicoli di felicità. Le nostre colline “popolate di case e di oliveti” che “mille di fiori al ciel mandano incensi” sono veicoli di felicità. Le nostre montagne, le nostre pianure, i nostri laghi, i nostri fiumi, sono veicoli di felicità. Tutta la Toscana, terra benedetta da Dio e dall’immensa arte di eccelsi esseri umani è un veicolo di felicità. È qui che sono nati Leonardo, Dante, Michelangelo, Giotto, Galileo, Botticelli, uomini tra i più grandi e famosi che abbia mai avuto l’umanità, vette irraggiungibili nei loro campi, è qui che hanno preso ispirazione, è qui che hanno coltivato la loro grandezza raggiungendo le loro personali estasi artistiche, letterarie, scientifiche, è qui, in Toscana. Perché è qui, come in pochi altri luoghi al mondo, che la natura e il clima si uniscono in un unico potente, inscindibile, abbraccio per creare quell’arte divina preludio e condizione di quella umana. Ancora una volta, una terra veicolo di felicità. Sì, lo possiamo dire forte, se la Toscana non è essa stessa, di per sé, la felicità, è senz’altro qualcosa che può condurre alla felicità. Perché non occorre essere i primi, i più bravi, i più forti, i più potenti, per provare vera felicità, basta semplicemente avere occhi e cuore per la poesia che il mondo esprime ogni giorno. E qui la poesia è l’essenza stessa della terra e di tutte le sue meraviglie. Bene, caro amico TuscanyPeople-iano, cara amica TuscanyPeople-iana cosa ne pensi della felicità? Qual è la tua definizione, la tua idea? Scrivici qui sotto, su Facebook, su Instagram, per noi il la tua opinione è importantissima. 📍 PER APPROFONDIRE: Stendhal e Firenze, la sindrome del belloPietrasanta: record mondiale per densità di gallerie d’arteFirenze dei grandi. Il capoluogo toscano nelle parole di uomini illustriInquinamento ambientale: quale futuro in Toscana? Verde, sostenibile e resiliente La Toscana è la tua passione? Anche la nostra! 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