Come scrivere una storia efficace secondo le regole della teoria dello storytelling.

La teoria dello storytelling ovvero come scrivere storie coinvolgenti

Per onestà intellettuale e per non generare pericolosi equivoci, chiariamo subito un punto: non esiste, né mai esisterà, una ricetta magica per costruire storie emozionanti, appassionanti, avvincenti e vincenti. Esistono però delle regole di psicologia umana da seguire, allontanandosi dalle quali è più difficile ottenere il risultato sperato: catturare l’attenzione e la curiosità del lettore.

Il fine di questo articolo è illustrare le regole per scrivere una storia coinvolgente, che aumenti al massimo le possibilità di raggiungere il risultato desiderato.

Lampadina su tavolo con quaderno e penna

Come scrivere una storia: l’importanza del personaggio

Bene, entrando subito in medias res, l’approccio per scrivere una storia che tradizionalmente si insegna ai corsi di storytelling e narrazione pone l’accento sulla struttura. Ma in realtà per costruire storie affascinanti è necessario portare l’attenzione sul personaggio.

Studiosi della mente umana e teorici dello storytelling hanno infatti raggiunto la stessa conclusione: dopo migliaia di anni di evoluzione il cervello dell’uomo è la perfetta sintesi tra narrazione e ascolto. Questo perché la mente, attraverso lo storytelling, mira a conseguire un risultato ben preciso: mantenere il controllo sul mondo che la circonda. E cosa, più delle persone e delle loro esperienze, può offrirle una tale opportunità?

Creare climax serrati di causa-effetto

I personaggi su cui l’attenzione si sposta devono però risultare interessanti, veritieri, tridimensionali. Per crearli è necessario comprenderne i meccanismi interni che ne regolano azioni, pensiero e relazioni: le storie che amiamo ascoltare prevedono i cambiamenti che accadono alle persone. Secondo la neuroscienziata Sophie Scott, quasi tutta la percezione si basa sulla rilevazione del cambiamento. Una storia è infatti essenzialmente un succedersi di causa-effetto in un climax sempre più serrato e drammatico fino al termine.

Il nostro cervello è estremamente curioso di conoscere ciò che accade agli altri. Nelle società primordiali la narrazione era cruciale per la sopravvivenza, tanto che il semplice pettegolezzo poteva servire a stabilire gerarchie e ordine sopraelevando i membri collaborativi della società rispetto al resto. Anche gli animali sono sensibili al gossip: l’attenzione dei corvi, ad esempio, è stimolata maggiormente nell’ascoltare altri uccelli che riferiscono storie su membri dello stormo.

Raccontare storie ai bambini

Stimolare la curiosità

Lo studio “La Psicologia della Curiosità” del Prof. George Lowenstein prova che informazioni incomplete suscitano nel cervello un picco di curiosità, scatenando un’esigenza di ricompensa: la mente brama la risposta, la verità, la completezza dello scenario, e l’idea di ottenerla provoca piacere. Traslando il tutto nello storytelling, è ovvio che un personaggio complesso di fronte a un cambiamento imminente provocherà al lettore lo stesso picco di curiosità: che cosa accadrà? Come si comporterà? A quali nuovi scenari e problematiche porteranno le sue azioni? Il cervello, a quel punto, sarà pronto, pagina dopo pagina, a continuare la sua ricerca fino alla risposta finale.

Per scrivere una storia coinvolgente però, questo personaggio che sta prendendo forma deve però muoversi in un mondo vivido che sfrutti i metodi di visualizzazione cerebrale: ogni parola letta viene immediatamente assorbita e visualizzata dal cervello, un meccanismo che ci catapulta in prima linea nella storia, divenendone noi stessi i protagonisti.

È pertanto necessario approfondire le descrizioni di ambienti, oggetti e situazioni. Per immergere il lettore in un’ambientazione realistica, è utile seguire la regola classica “show not tell”: mostrare, non descrivere. George Orwell consigliava di sfruttare l’immenso potere delle metafore, soprattutto quelle originali che rimangono più impresse. Anche gli aggettivi sapientemente usati e dosati possono aiutare.

Concetto di storia con libro sulla spiaggia

Come creare il protagonista di una storia

Torniamo adesso al protagonista che deve muoversi in questo mondo vivido. Cosa rende unico il personaggio, interessante, umano?

Il sacred flaw

Secondo il saggista e storico delle religioni Joseph Campbell, le imperfezioni. Il segreto sta nel trovare il sacred flaw, il difetto sacro, di cui il protagonista è all’oscuro: un punto debole, un difetto morale o fisico, una credenza o una convinzione.

I bias

È utile poi che il difetto sacro del protagonista vada a sommarsi a un altro meccanismo che la mente umana attua a nostra insaputa: i bias, ossia le manipolazioni nella percezione del mondo che ci circonda che portano a pregiudizi positivi o negativi. In altre parole, la tendenza a crearci una nostra realtà soggettiva.

Un esempio di bias? La convinzione diffusa di riuscire a comprendere quello che gli altri intorno a noi pensano (quando in realtà ne comprendiamo solo il 20%); oppure la convinzione di avere ragione e la percezione di essere spesso trattati ingiustamente. Tutti questi bias, nel caos innescato dal cambiamento, potrebbero servire a destabilizzare il personaggio provocando in lui sentimenti di rivalsa, desiderio di giustizia, innescando una lotta per riaffermare la propria identità sul mondo interiore ed esteriore.

Personaggi di una storia fatta con ombre

Personaggi complessi e veritieri

Un personaggio efficace è tuttavia composto anche da molti altri elementi cruciali che il Professor Fernyhough, scrittore e psicologo, ha evidenziato in uno studio, e che spingono il 19% dei lettori a continuare a sentire nella propria testa le voci dei protagonisti dell’ultimo libro letto anche dopo averlo concluso.

I 5 domini della personalità

Per creare personaggi vivi, che “parlino” ai lettori, bisogna dotarli di personalità complesse e veritiere. In psicologia le personalità vengono misurate secondo cinque domini:

  1. Personalità estroverse: socievoli e assertive, ricercano attenzioni ed emozioni.
  2. Personalità nevrotiche: ansiose, timide, nervose e tendenti al pessimismo.
  3. Personalità aperte: artistiche, curiose, pionieristiche ed emotive.
  4. Personalità gradevoli: modeste, fiduciose e comprensive.
  5. Personalità sgradevoli: boriose, inaffidabili, prepotenti.

Il sapiente mix di queste caratteristiche può aiutare il narratore a costruire personalità efficaci che restituiscano spessore umano ai personaggi.

Marionette di legno di personaggi buffi

Come scrivere una storia: la narrazione

Entriamo ora nel vivo di come scrivere una storia coinvolgente sul piano della narrazione. Molti libri celebri catturano l’attenzione sin dalle prime parole.

L’inizio della storia

Lo start può essere l’evento di cambiamento stesso o una sua anticipazione, o un evento che ponga il protagonista della storia in una situazione che scateni emozioni ancestrali, quali il sentimento di rivalsa, il disgusto, l’ingiustizia: l’importante è che riesca a suscitare nel lettore interesse immediato per il personaggio, curiosità e immedesimazione.

Le storie classiche, dove si affrontano due archetipi antagonisti, da che mondo è mondo funzionano sempre benissimo. La lotta tra l’eroe altruista e il cattivo egoista agisce sulla parte tribale del nostro cervello, dove la collaborazione è la chiave positiva, e in automatico proviamo piacere quando vince il bene e il malvagio viene punito.

La missione del protagonista

Un altro “trucco” che favorisce la storia è inserire un obiettivo connesso col sacro difetto che il protagonista vivrà come una missione. “I personaggi più memorabili e affascinanti tendono ad avere non solo un desiderio conscio, ma inconscio” (Robert McKee, Teorico della storia). Aristotele, parlando del concetto di felicità eudaimonica, sosteneva che l’uomo è felice quando può realizzarsi perseguendo obiettivi significativi, e infine raggiungendoli.

La conclusione

Per quanto riguarda il finale, dipende dall’impostazione della trama e dal genere. In una storia di rivalsa, il protagonista supererà le prove e cambierà diventando una versione migliore di se stesso: happy ending. In una storia tragica, in cui su ogni sforzo prevarrà sempre il sacro difetto, il finale sarà negativo e porterà con sé conseguenze come ostracizzazione, umiliazione o morte.

Qualsiasi sia la conclusione scelta, perché la storia risulti appassionante dovrà sempre rispondere alla domanda: chi è davvero il protagonista? È questa risposta che tiene il lettore agganciato alla storia, e nel finale deve essere assolutamente soddisfatta. Solo così il suo cervello reputerà conclusa la ricerca della verità e potrà finalmente sentirsi, seppure per poco, in controllo del mondo che lo circonda.

Scritta Once upon a time su macchina da scrivere vintage

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Informazioni sull'autore

Vieri Tommasi Candidi
Scrittore & Ambassador of Tuscany
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