La storia del Granducato di Toscana dopo la caduta dei Medici: scopri il Patto di Famiglia di Anna Maria Luisa dei Medici e le riforme illuminate dei Granduchi della stirpe dei Lorena

Storia del Granducato di Toscana: l’arrivo dei Lorena

Nella nostra Storia del Granducato di Toscana ci eravamo lasciati con la morte dell’ultimo discendente della casata Medici, Gian Gastone, il 9 luglio 1737. E da qui riprendiamo.

Ma prima dobbiamo introdurre una figura di donna molto importante per comprendere le vicende che si snodano da questo momento in poi: Anna Maria Luisa de’Medici.

Anna Maria Luisa de’ Medici: il Patto di Famiglia coi Lorena

Anna Maria Luisa de’ Medici, principessa elettrice del Palatinato, unica figlia femmina del Granduca Cosimo III e della principessa Margherita Luisa d’Orléans, divenne, nel 1690, la seconda moglie di Giovanni Guglielmo II di Wittelsbach-Neuburg, Principe elettore del Palatinato.

Nel frattempo il fratello, il Granduca Giangastone – come abbiamo visto – malato, indolente, incapace di contrattare il futuro della Toscana, similmente al padre Cosimo III, era in balia delle potenze straniere. Così, anziché promuovere la successione dei suoi parenti Medici maschi, i principi di Ottajano, acconsentì a che il Granducato venisse concesso, alla sua morte, a Francesco Stefano di Lorena.

Per fortuna, però, Anna Maria Luisa fu capace di stipulare coi Lorena il cosiddetto “Patto di Famiglia”, salvando l’ingente patrimonio d’opere d’arte di Firenze. In questo fondamentale patto si stabiliva che la casata asburgica non potesse trasportare «o levare fuori della Capitale e dello Stato del Granducato… Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose…affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri».

L’accordo venne rispettato alla lettera dai nuovi granduchi, e la loro lealtà permise alla città di rimanere in possesso delle proprie inestimabili opere d’arte. In altre parole, se oggi Firenze è una della più grandi capitali d’arte e cultura del mondo, lo dobbiamo ad Anna Maria Luisa de’ Medici e alla sua illuminata determinazione. La storia del Granducato di Toscana e il futuro della nostra regione non sarebbero stati gli stessi senza di lei.

Ritratto di Anna Maria Luisa dei Medici, Elettrice Palatina

Francesco Stefano di Lorena, il primo granduca asburgico in Toscana

Figlio del duca Leopoldo di Lorena e di Elisabetta Carlotta di Orléans, sposato con la figlia dell’imperatore Carlo VI, Maria Teresa, arciduchessa d’Austria e regina di Boemia e d’Ungheria, Francesco Stefano dovette rinunciare alla Lorena, ma acquistò in compenso i diritti sulla Toscana, di cui divenne Granduca nel 1737, alla morte di Giangastone.

Questi però, deludendo le aspettative, affidò il governo della Toscana a una reggenza, compiendo una sola visita nella regione, nel 1739. La Toscana, divenne quindi, di diritto e di fatto, un feudo dell’impero, una pertinenza politica ed economica della corte di Vienna. Sicuramente il periodo meno brillante della storia del Granducato di Toscana sotto i Lorena.

La popolazione in Toscana non la prese molto bene. La nuova dinastia si dimostrava ottusa, sfruttava i locali, e marcava un netto distacco con l’alta società fiorentina che si vedeva defraudata in parte delle antiche cariche politiche. Purtuttavia, nel complesso il “Consiglio di Reggenza”, coordinato da Emmanuel de Nay, conte di Richecourt, lavorò abbastanza bene, avviando anche una serie di riforme di modernizzazione dello stato, e creando le basi per quelle che saranno le idee riformatrici di Pietro Leopoldo di Lorena.

Ritratto di Francesco I di Lorena, primo granduca di Toscana della casata Asburgo-Lorena

Con Pietro Leopoldo di Lorena la Toscana entra in Europa dalla porta principale

Pietro Leopoldo, secondo figlio maschio di Francesco Stefano di Lorena (imperatore Francesco I) e di Maria Teresa d’Asburgo, il 18 agosto del 1765, alla morte del padre, divenne Granduca di Toscana. E si rivelò subito un “sovrano illuminato”, al passo coi tempi e con le nuove correnti di pensiero. In contrapposizione a Francesco I, Pietro Leopoldo decise di trasferirsi a Firenze, e da qui avviò un programma di riforme molto articolato e di ampio respiro, in campo economico, giudiziario e civile. Avvalendosi della collaborazione di ottimi funzionari, come Giulio Rucellai, Pompeo Neri, Francesco Maria Gianni, Angelo Tavanti, Pietro Leopoldo non solo riuscì a risanare il dissesto finanziario provocato dagli ultimi disastrosi anni medicei, ma trasformò anche profondamente la Toscana rivestendola di modernità ed efficienza, tanto da renderla un modello di riformismo illuminato in tutta Europa.

Il Granduca riformò le amministrazioni locali e il sistema tributario, eliminando privilegi e rendendo pubblico il bilancio dello Stato. Promosse una politica liberista, chiudendo le corporazioni di origine medievale e abolendo le leggi sulle manomorte e i fidecommessi. In tal modo dette forte impulso all’economia, all’agricoltura, al commercio e all’industria. Avviò la bonifica di grandi aree della Maremma e della Val di Chiana e fece costruire un moderno sistema di comunicazioni stradali e svariate opere pubbliche, ampliò e riorganizzò i servizi.

Ordinò la soppressione dei conventi, degli ordini e degli enti religiosi, riducendone notevolmente il numero e alienando i loro beni mobili e immobili. Il patrimonio edilizio così acquisito permise la creazione di nuovi ospedali, ospizi, scuole, istituti, università. Promosse la cultura e gli studi, fondando e sviluppando accademie, musei, biblioteche. Nel 1784 istituì l’Accademia di Belle Arti che poneva fine al sistema delle botteghe artistiche di origine medievale.

Ritratto di Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana e Imperatore d'Austria

La Riforma criminale toscana o Leopoldina

Ma la vera pietra miliare della storia del Granducato di Toscana, avvenne in campo legislativo con la Riforma criminale toscana o Leopoldina. Il nuovo codice penale del 1786 prevedeva infatti l’abolizione del reato di lesa maestà, della confisca dei beni, dell’interrogatorio per tortura, e soprattutto della pena di morte. In tal modo la Toscana divenne il primo stato europeo ad attuare i principi teorizzati da Cesare Beccaria nella celebre opera “Dei delitti e delle pene”. Inoltre introdusse il principio di uguaglianza di tutti i figli maschi nella successione ereditaria paterna. Riuscì poi ad abolire anche l’Inquisizione e allontanare i gesuiti.

Nel 1790, poi, alla morte del fratello Giuseppe II, Pietro Leopoldo lasciò Firenze per ricevere la corona imperiale col nome di Leopoldo II. Gli successe sul trono granducale di Toscana il figlio secondogenito Ferdinando III.

Statua di Cesare Beccaria a Milano

Ferdinando III di Lorena e la Rivoluzione Francese

In politica interna il nuovo Granduca non si discostò dalle riforme paterne che avevano proiettato la Toscana all’avanguardia in Europa, precedendo persino la rivoluzione francese, allora in corso, in alcuni campi.

L’8 ottobre del 1793, su forti pressioni inglesi, Ferdinando III dichiarò guerra alla Repubblica Francese, sebbene le relazioni con Parigi non venissero mai interrotte, ristabilendosi nel febbraio del 1795. Tuttavia, nel 1796 le armate francesi conquistavano Livorno per sottrarla all’influenza britannica; nel frattempo lo stesso Napoleone entrava a Firenze, ben accolto dal sovrano, occupando il Granducato, ma senza abbatterne il governo locale.

Solo nel marzo 1799, in seguito al precipitare della situazione politica nella penisola, Ferdinando III venne costretto all’esilio a Vienna e la storia del Granducato subisce una svolta repentina. Le truppe francesi rimasero in Toscana fino al luglio 1799, quando furono scacciate da una controffensiva austro-russa. La restaurazione però era dietro l’angolo: già l’anno successivo Napoleone tornava in Italia, ristabilendo il suo dominio sulla Penisola, con la conseguenza che nel 1801 Ferdinando III era costretto ad abdicare al trono di Toscana.

Rievocazione storica con truppe francesi napoleoniche

Altro giro, altra corsa: cade Napoleone, torna Ferdinando III

Ferdinando III tornò in Toscana nel settembre del 1814, dopo la caduta di Napoleone. Ma la sua Restaurazione toscana non si rivelò vendicativa, anzi, si dimostrò un esempio di mitezza e buon senso. Nessuna epurazione del personale che aveva operato nel periodo francese, nessuna abrogazione di legge napoleonica in materia civile ed economica (salvo il divorzio) e, laddove ci furono cambiamenti, si limitò a sostituire le già avanzate leggi leopoldine, come in campo penale.

Furono anni in cui si portarono avanti molte opere pubbliche: strade come la Volterrana, acquedotti, oltre a dare inizio ai primi seri lavori di bonifica della Valdichiana e della Maremma che Ferdinando III, impegnato in prima persona, pagò a caro prezzo, contraendo la malaria fino a morirne, nel 1824.

Per approfondire: Come era la Maremma prima della bonifica

Ritratto di Ferdinando III di Lorena, Granduca di Toscana

Leopoldo II, quel mite “Canapone” dalla tolleranza illuminata che bonificò la Maremma

Gli succedette Leopoldo II, che assunse il potere alla morte del padre, e subito si dimostrò sovrano indipendente e impegnato: confermò i ministri che aveva nominato Ferdinando III, ridusse la tassa sulla carne, e proseguì con successo nella bonifica della Maremma iniziata dal precedente governo. Ampliò il porto di Livorno, costruì nuove strade, avviò un primo sviluppo delle attività turistiche (allora chiamate “industria del forestiero”), così come lo sfruttamento delle miniere del granducato.

Leopoldo II, affettuosamente soprannominato Canapone dai grati grossetani (che gli hanno anche dedicato un significativo monumento in Piazza Dante) per via della sua capigliatura biondiccia, portò avanti il più mite e tollerante governo tra tutti gli stati italiani. La censura, affidata a padre Mauro Bernardini da Cutigliano, non ebbe molte occasioni di operare, e tanti esponenti della cultura italiana del tempo, perseguitati o privi dell’ambiente ideale in patria, trovarono asilo in Toscana: così accadde ad Alessandro Manzoni, a Giacomo Leopardi, a Niccolò Tommaseo e a Guglielmo Pepe.

Alcuni scrittori e intellettuali toscani, come Guerrazzi, Giuseppe Giusti, Giovan Pietro Vieusseux, che in altri stati italiani avrebbero sicuramente avuto problemi, in Toscana riuscirono a lavorare in tutta tranquillità. Tanto che è rimasta celebre la risposta del Granduca all’ambasciatore austriaco che si lamentava del fatto che in Toscana la censura non facesse il suo dovere. “Ma il suo dovere è quello di non farlo!”, replicò lui piccato.

Unica eccezione, la soppressione, nel 1833, della rivista “Antologia” di Giovan Pietro Vieusseux, a causa delle pressioni austriache, e comunque senza ulteriori esiti civili o penali per il fondatore.

La statua di Leopoldo II detto il Canapone in Piazza Dante a Grosseto

L’Italia risorge e… “Addio, babbo Leopoldo!”

Nell’aprile del 1859, alle soglie della Seconda guerra d’indipendenza italiana contro l’Austria, Leopoldo II proclamò la sua neutralità. Il governo granducale aveva i giorni contati: a Firenze la popolazione già rumoreggiava e le truppe davano segni d’insubordinazione.

Mercoledì 27 aprile 1859, intorno alle 4, dopo aver rifiutato di abdicare a favore del figlio Ferdinando, accompagnato da pochi intimi e dagli ambasciatori esteri (escluso quello sardo), Leopoldo II e la sua famiglia lasciarono Firenze – non aveva mai pensato a una soluzione di forza -, partendo da Palazzo Pitti con quattro carrozze e uscendo per la porta di Boboli verso la strada per Bologna.

Rappresentò per lui una pacifica rassegnazione al verdetto della storia. Le modalità stesse del commiato – con gli effetti personali della famiglia caricati nelle poche carrozze e le attestazioni di simpatia al personale di corte – gli valsero una rinnovata stima da parte dei fiorentini che si levarono il cappello al suo passaggio gridando: “Addio babbo Leopoldo!”, e accompagnandolo con tutti i riguardi fino alle Filigare, ormai ex dogana con lo Stato Pontificio.

Alle 6 pomeridiane di quello stesso giorno, il municipio di Firenze, constatata l’assenza di disposizioni lasciate dal sovrano, nominò un governo provvisorio. Così finirono, in modo indolore, con un po’ di malcelata malinconia, i 290 anni di storia del Granducato: la Toscana era ormai parte dell’Italia Unita.

Per approfondire: Storia della Toscana: dal Paleolitico all’Unità d’Italia

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Foto di copertina Harold Wainwright su Unsplash

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