6/7 Entrano in scena l’Accademia dei Georgofili fiorentina e il Barone Ricasoli

Nell’Ottocento, la prima grande svolta nel vino toscano

Nel Sette-Ottocento le città-stato della Toscana investirono nelle campagne parte delle ricchezze provenienti dal commercio, dalla manifattura e dalla finanza. In questo periodo la coltura della vigna rimaneva un’eccezione in Toscana, in quanto riservata a vini pregiati destinati alle tavole dei proprietari. Ancora alla metà dell’Ottocento risultava modesta la superficie interessata dalla produzione di vini di qualità. Tra le cause – a detta degli esperti del tempo – si annoveravano lo stesso processo di vinificazione, la cattiva scelta dei vitigni, l’eccessivo numero delle varietà, l’infelice scelta dei luoghi. Si capì allora che la vitivinicoltura rappresentava un settore strategico per la modernizzazione dell’agricoltura: su questo punto occorreva lavorare.

La Toscana si trovò quindi al centro di questa discussione per il ruolo politico e culturale che aveva nel periodo postunitario e perché ospitava una tra le più prestigiose accademie agrarie del mondo, che già nel Settecento aveva individuato nel rinnovamento della vitivinicoltura toscana l’elemento chiave per affrontare le sfide dei mercati internazionali. E sarà proprio da questi pionieri toscani della moderna vitivinicoltura che prese le mosse quello che fu definito il Risorgimento del vino italiano.

Il castello di Brolio visto dalla vigne sottostanti

Il Barone Ricasoli e il primo “disciplinare” per il Chianti

Socio dell’Accademia dei Georgofili fu anche il barone Bettino Ricasoli che nella seconda metà dell’Ottocento, nelle sue cantine di Brolio, studiò con quali uvaggi ottenere un vino più moderno rispetto all’antico “Vermiglio”, eccessivamente corposo e denso.

Nel 1872 il “Barone di Ferro” giunse a formulare la sua famosa ricetta ancora oggi utilizzata da alcuni produttori. La ricetta prevedeva prevalentemente sangiovese, per dare al Chianti vigore e profumi, aggiungendo canaiolo nero per ammorbidirne l’acidità e l’astringenza. La malvasia era consigliata solo per i vini da consumare giovani. Il trebbiano toscano non rientrava nella ricetta originale del Barone.

La sua impresa riuscì, e lo stesso ministro dell’agricoltura dell’epoca arrivò ad affermare che la Toscana era la prima regione italiana a produrre un vino rosso da pasto con caratteristiche apprezzate dai consumatori.

E nel Novecento cosa accadde? Scoprilo a pagina 7

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Scrittore & Ambassador of Tuscany
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