8 Marzo 2017 2019-01-26T02:10:43+01:00 L’arte del vino: vini e vinattieri, toscani di oggi e di ieri TuscanyPeople Alessio Mariani Share: La storia del vino in Toscana inizia nel VII sec. a.C., quando i Greci iniziarono a piantare la vitis vinifera e gli Etruschi, dopo averne compreso le inebrianti potenzialità, se ne innamorarono, facendola divenire una delle loro coltivazioni più tipiche. Da allora la passione per il vino dei popoli toscani non si è mai sopita e, ancora oggi il vino rappresenta uno dei principali fulcri della cultura di questa terra. “Questo è il ritratto del nuovo vino di Toscana, indicatore di una nuova struttura mentale, sociale, e anche espressione individuale e collettiva. Ma il nuovo ritratto non può essere il riflesso dell’evoluzione degli ultimi anni. Esso è il risultato di un vino di un’epoca, di cui si conserverà sempre la memoria e la traccia: la sua tradizione storica infatti non verrà mai meno”. (Giacomo Tachis, I vini nuovi, Storia del Vino in Toscana.) La storia del vino in Toscana Il vino da sempre è uno dei prodotti centrali della cultura toscana e, come si può facilmente comprendere, non soltanto per ciò che riguarda l’aspetto enogastronomico. La coltivazione della vitis vinifera, lo studio dei macchinari per ricavarne l’inebriante succo, la costruzione di luoghi adatti alla conservazione delle bottiglie e la costante ricerca dell’equilibrio del rapporto tra uomo e natura, hanno dettato e forgiato i ritmi, gli usi e i costumi di tutti i popoli che hanno vissuto nei secoli in Toscana. Vini d’Etruria e la storia del vino Tra le molte novità che i Greci classici introdussero in Italia (a partire dalla metà del VIII sec. a.C.), gli Etruschi apprezzarono enormemente la vitis vinifera, alla cui coltivazione si sarebbero poi dedicati assiduamente per tutto il secolo successivo, tanto che allo scadere dello stesso, l’importazione del vino greco in “Toscana” sarebbe divenuta un traffico di ragguardevole consistenza, tanto che le anfore vinarie etrusche sarebbero state oggetto di un’intensa commercializzazione lungo tutta la costa dell’occidente mediterraneo, fino alla Penisola Iberica. Al contempo, in direzione del barbarico nord e dell’Europa continentale, i moderni archeologi si sono resi conto di poter datare e ricostruire l’espansione della cultura del vino, sulla base del ritrovamento delle brocche dal becco allungato dette Schanabelkanne, la cui esportazione dall’Etruria meridionale seguiva da presso quella della ricercata ambrosia tirrenica. Così, mentre i costumi greci escludevano ancora le donne dai banchetti e dal consumo del prezioso alcolico, le signore d’Etruria, con grande scandalo dei viaggiatori elleni, tennero il vino e buttato l’acqua sporca, brindando a Fufluns-Dioniso, mentre la mediazione commerciale dei loro mariti si rivelava decisiva per l’irradiazione della cultura del vino verso l’occidente e il lontano nord. Villa Settefinestre, viticoltori dal I secolo In seguito vi sarebbero stati momenti di maggiore o minore fortuna, con la crisi della civiltà etrusca si arrestarono anche le esportazioni vinicole, per risorgere poi, dopo la romanizzazione, dalla metà del I secolo a.C. Risale infatti a quell’epoca la celebre Villa Settefinestre (Capalbio), proprietà della familia Sesti. Tra le rovine di tale complesso, gli archeologi hanno ritrovato un’ampia cella impermeabilizzata, priva di porte, ma dotata di finestre abbastanza ampie da trasferirvi le uve e gli schiavi addetti alla pigiatura. Quindi tramite alcune aperture laterali, ridotte e richiudibili, il mosto veniva trasferito nella stanza dei torchi vinari, per una ulteriore spremitura meccanica; infine un sistema idraulico incanalava il liquido, estratto dai torchi, direttamente verso la cantina del piano inferiore, dove molto probabilmente lo attendevano i recipienti in cuoio o terre cotte poiché l’uso delle botti di legno si diffuse solo nel Medioevo, adatti alla fermentazione. La produzione di Villa Settefinestre doveva essere davvero significativa, tanto che sono addirittura cinque i relitti romani, individuati tra la Costa Azzurra e la foce del Rodano, carichi unicamente delle anfore vinarie contrassegnate con il marchio dei Sesti. Molte cose cambiarono però nel corso del I secolo d.C., quando furono i vini della Gallia e della Penisola Iberica a riversarsi in Italia, riconducendo quelli d’Etruria al commercio locale; tra di essi, descrivendo tutte le produzioni viti-vinicole italiane, Plinio il Vecchio riconobbe la preminenza del vino di Luni, città scomparsa ed eponima dell’odierna Lunigiana. L’arte dei vinattieri La storia del vino in Toscana, ci racconta poi che dopo la caduta dell’Impero Romano, i documenti dell’Alto Medioevo consentono di dire ben poco riguardo al vino toscano, salvo attestare la coltivazione della vite ed il perdurare dell’interesse verso il vino da parte degli strati sociali più alti, di origine latina tanto quanto germanica. La situazione documentaria migliora notevolmente con il sorgere delle arti e delle corporazioni in tutto l’Occidente e specialmente in Toscana. A Firenze, è attestato come nel 1266 i vinattieri costituissero un’unica corporazione assieme ad osti, fornai e albergatori, ma già nel 1282 il calice rosso in campo bianco divenne lo stemma di un arte autonoma con sede in Palazzo Bartolommei-Buschetti: detta dei Vinattieri, ne facevano parte i proprietari delle osterie e i mercanti di vino che potevano vendere la loro merce all’ingrosso o anche al minuto nelle mescite. Non facevano solitamente parte dell’arte invece le famiglie dell’aristocrazia cittadina come Peruzzi, Antinori o Frescobaldi, pure impegnate a vendere il vino di propria produzione al minuto nei rispettivi palazzi. Tra i vinattieri pisani dovevano invece costituire una peculiarità locale quegli associati che esercitavano il commercio al dettaglio dalle apposite barche, ormeggiate lungo l’argenteo Arno. I Vini: Valdarno, Chianti, Montepulciano Se da una parte il Basso Medioevo mostra già tutto l’amore e l’attenzione per il vino che da toscani conosciamo bene, con l’affaccendarsi attorno alle vigne delle famiglie più importanti dell’epoca, la scelta delle migliori qualità per le feste, uno stuolo di osterie ed un consumo pro capite attorno ai tre quarti di litro ogni giorno, dall’altra, la viticoltura della Toscana di allora risulta assai differente da quella che ci è familiare. Basti dire che si beveva prevalentemente vino novello, pochissime qualità di vino erano adatte a subire l’invecchiamento che comunque non poteva durare se non pochi anni. Parimenti sorprendente il colore dei fiaschi, poiché se pure i rossi venivano prodotti in maggiore quantità, i vini bianchi erano ritenuti più pregiati. I primi dati precisi a riguardo risalgono al 1427, quando i fiorentini realizzarono il loro più antico catasto e gli ufficiali del Comune si impegnarono ad annotare le rendite di terreni e immobili. Le migliori cantine risultarono quelle del Valdarno di Sopra (San Giovanni, Montevarchi) e della Val d’Ambra, dove si vinificava il trebbiano bianco, venduto tra i 36 e i 40 soldi al barile (40 litri circa). Anche il Chianti era valutato bene e commerciato tra i 34 e i 36 soldi. Poco amati infine i vini empolesi o quelli coltivati nelle pianure tra Firenze e Pistoia: anche se bianchi raggiungevano al massimo i 16 soldi e finivano talvolta per essere tagliati con quelli di qualità superiore. Del poco amore per la produzione locale seppe però farsi forza soprattutto l’arte dei vinattieri pisani che esercitava pressoché il monopolio sull’importazione in Toscana dei vini stranieri più pregiati, specialmente greci ma anche napoletani. Il vino toscano nel Rinascimento Tra il Quattrocento e il Cinquecento il prestigio dei vini toscani continuò a crescere; e per quanto Michelangelo Buonarroti o il filosofo platonico Marsilio Ficino che vinificava anche in proprio ed invitato a tavola non rinunciava a portarsi il vino suo, continuassero a preferire il bianco del Valdarno, crebbe soprattutto la considerazione del Montepulciano e degli altri rossi. A riprova di ciò, verso fine di tale periodo, si riscontrano le prime consistenti attestazioni dell’esportazione di vino toscano in Europa, specialmente verso l’Inghilterra. Bacco in Toscana, Cosimo III Medici Infine, quali personaggi emblematici che hanno segnato la storia del vino toscano raccogliendo le uve della tradizione dei vinattieri medievali, alla vigilia del grande cambio di stagione settecentesco, dobbiamo ricordare Francesco Redi e Cosimo III Medici. Tra i padri della moderna biologia, il Redi non disdegnò nemmeno le arti poetiche, e vi si volse per cantare Bacco in Toscana, assieme al Montepulciano d’ogni vino re, il superbo Artimino o il gran vino di Pomino. Forse fu però proprio Cosimo III ad adottare la strategia migliore per valorizzare il vino toscano, colmando calici veri anziché cantati. Quanto meno dal 1670, il generoso granduca volle infatti inviare annualmente un ricercato dono ai sovrani europei con i quali intratteneva le migliori relazioni diplomatiche e la scelta del genere da regalare cadde sul vino. Fu così che per molto tempo i diplomatici toscani consegnarono ai sovrani di Inghilterra, Austria, Francia, Olanda, nonché ai loro maggiori dignitari, i vini di Montalcino, Pomino, Maiano, Montegonzi e parecchi altri; contribuendo certamente a rafforzare il prestigio del vino toscano e favorire le esportazioni. La nascita della Congregazione dei Vini Già il 24 settembre del 1716 del resto, Cosimo III si era dimostrato sovrano attentissimo alle esigenze della viticoltura e precursore di istituti che si sarebbero sviluppati compiutamente soltanto molti secoli più avanti; risale infatti a quel giorno la prima “denominazione di origine controllata“, poiché il granduca impose che i vini denominati quali Chianti, Pomino, Carmignano e Val d’Arno di Sopra, dovessero venire prodotti esclusivamente entro le relative aree geografiche tradizionali, dando una svolta epocale alla storia del vino toscano. Meno conosciuta ma non meno feconda di futuri sviluppi fu però anche un’altra intuizione di Cosimo III. Il sovrano desiderava infatti che l’antico credito dei vini toscani, fosse tutelato, garantendo la qualità effettiva oltre che il nome; dispose pertanto che i quattro pregiati vini, prima di poter essere esportati via mare, dovessero superare un controllo di qualità, da effettuarsi per tramite di una nuova magistratura pubblica appositamente istituita: la Congregazione dei Vini. I Consorzi di tutela Percorso anche il solo tratto più antico della storia del vino che dall’Etruria conduce al prodotto famoso oggi in tutto il mondo; tra gli statuti delle arti, la diplomazia, la Congregazione dei Vini di Cosimo III, non pare del tutto ingiustificato scorgere già un futuro sociale e condiviso per la produzione del vino toscano. Negli attuali consorzi dei viticoltori toscani, l’eccellenza del vino è infatti: ricercata tramite un disciplinare comune, esibita fieramente da uno “stemma” o logo, custodita all’interno di una territorialità delimitata, come TuscanyPeople ha imparato bene a conoscere. Consorzio del Vino Chianti Classico E’ significativo a riguardo l’attuale logo del Gallo Nero che fregia le bottiglie del Consorzio del Vino Chianti Classico, ma già insegna della Lega del Chianti, alla quale spettava ogni anno il compito di indicare il primo giorno utile per la vendemmia, ai tempi della Repubblica Fiorentina. Lo scorso anno il consorzio non ha pertanto potuto mancare di festeggiare i 300 anni dalla “Doc” di Cosimo III Medici, come ci ha raccontato il presidente Sergio Zingarelli. Consorzio del Vino Brunello di Montalcino Tra i vini toscani che Cosimo III inviava nelle corti d’Europa, la maggior parte delle casse pare fossero di Brunello. Pertanto, non ci sorprendono i successi del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino in tema di eccellenza e di esportazioni, come ci ha rivelato il presidente Giacomo Pondini, intervistato lo scorso anno in occasione del cinquantennale dalla fondazione del consorzio. Consorzio di Tutela Bolgheri Doc Un’altra associazione di viticoltori davvero molto cara a TuscanyPeople è infine il Consorzio di Tutela Bolgheri Doc. Di Bolgheri il nostro publisher, Tommaso Baldassini, ha raccontato una storia davvero affascinante, quella del Sassicaia e soprattutto di Giacomo Tachis, l’ultimo grande enologo rivoluzionario della Toscana del vino. Non a caso gli Etruschi concentravano la loro viticoltura in prossimità della costa. Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano Il primo vino italiano ad avere ottenuto il riconoscimento Docg è stato tuttavia quello di Montepulciano. Così quando anche il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano ha festeggiato il cinquantennale, TuscanyPeople non ha potuto mancare di festeggiare e di parlarne con il presidente Andrea Natalini. Ma già se non Bacco in Toscana almeno Francesco Redi l’aveva eletto a suo preferito. Gli altri consorzi di tutela Toscani Altri consorzi di tutela di cui parleremo in un successivo articolo e sempre molto importanti sono: Consorzio del vino Chianti, il consorzio del Chianti Colli Fiorentini, Consorzio del Chianti Rufina, Consorzio di Tutela Vini Cortona DOC, Consorzio di Tutela Morellino di Scansano DOC, Consorzio di Tutela Vino d’Orcia, Consorzio della denominazione San Gimignano, Consorzio di Tutela dei Vini di Carmignano e Consorzio Vini DOC Montescudaio. Per chi volesse continuare ad approfondire il nella storia del vino toscano che abbiamo proposto, consigliamo la pubblicazione che più di ogni altra ci ha piacevolmente accompagnato: Storia del Vino in Toscana, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Edizioni Polistampa, 2000. Soprattutto però consigliamo di brindare con i vini toscani, qualcuno saprà scegliere il preferito ? Noi non ci siamo riusciti… Sei un Eccellenza Toscana? Raccontaci la tua Storia. Scopri come diventare “Ambasciatore di TuscanyPeople” ed essere premiato. Foto alberi © StevanZZ/Shutterstock.com Riproduzione Riservata © Copyright TuscanyPeople Share: Informazioni sull'autoreAlessio MarianiBlogger & Ambassador of Tuscany [fbcomments url="https://www.tuscanypeople.com/storia-del-vino-toscana/" width="100%" count="on" num="3"]