17 Dicembre 2024 2024-12-11T10:23:18+01:00 Storia dell’emigrazione toscana TuscanyPeople Vieri Tommasi Candidi Share: Scopri la storia dell’emigrazione toscana nei secoli e come mai il fenomeno si concentrò principalmente tra la Lucchesia e Massa Carrara Oggi tutti vogliono venire a vivere in Toscana, un tempo c’era chi vi fuggiva L’emigrazione toscana non è un fenomeno così marcato e nemmeno paragonabile a quella avvenuta su larga scala nel sud dell’Italia, tuttavia si è verificata, e si è soprattutto (anche se non esclusivamente) concentrata nelle province di Lucca e Massa Carrara, storicamente le maggiori responsabili della diaspora regionale. Processi economici negativi portano le famiglie e i lavoratori a emigrare All’inizio del diciannovesimo secolo la Lucchesia è un territorio in crisi a causa di una serie di processi economici negativi, fra i quali la mancata trasformazione strutturale dell’agricoltura e la posizione isolata dell’alta valle della Garfagnana. Già nel 1910 il geografo Mori aveva mostrato come l’emigrazione toscana si trovava in relazione diretta con l’altitudine: le curve altimetriche correvano parallele alle curve che rappresentavano l’intensità del flusso migratorio in partenza da queste aree. Dunque, mentre le comunità montane della Lunigiana, della Garfagnana e dell’Appennino toscano contribuivano al processo migratorio con un alto numero di lavoratori dall’unità d’Italia in poi, le aree collinari e le piane della Toscana centro-meridionale generavano minori contingenti di emigranti. Diversi fattori socio-economici influenzano il flusso migratorio Nel corso del XVIII secolo – che precedette il fenomeno di emigrazione di massa dalla Lucchesia – diversi fattori socio-economici influenzarono il flusso migratorio, che raggiunse il suo picco fra il 1870 e la vigilia della prima guerra mondiale. Il tasso di disoccupazione causato dal declino della produzione serica (attivissima sin dal basso medioevo in tutta la Toscana), le ricorrenti crisi agricole e le carestie dell’area lucchese, oltre all’eccessiva frammentazione delle proprietà rurali, rappresentarono i fattori principali che portarono all’emigrazione temporanea e permanente dalla Garfagnana e dalla campagna lucchese. Un vero e proprio modello migratorio: mete predeterminate e precisi piani economici Il modello migratorio temporaneo, da esperienza elitaria delle ricche famiglie lucchesi di mercanti tardo-medievali, si trasformò in pratica comune nelle comunità rurali. Gli emigranti non partivano a caso: ricevevano informazioni da parenti e amici che erano già partiti e tornati. Portavano con sé risparmi appena sufficienti per il trasporto, e molti viaggiavano insieme a parenti stretti e compaesani verso centri di destinazione dove sapevano che avrebbero trovato aiuto e supporto logistico. Questo perpetuava una struttura socio-economica quasi immobile, grazie alla possibilità d’integrare gli scarsi guadagni ottenuti localmente sommandovi le entrate generate fuori dai confini della Lucchesia. Molti, non appena la situazione economica si consolidava grazie al lavoro all’estero, facevano ritorno a casa perché la loro costante aspirazione era di aumentare l’estensione delle proprietà rurali, o quanto meno di diventare proprietari di un appezzamento di terra, nella propria comunità di origine. La presenza di parenti e compaesani all’estero, e la relativa facilità con cui gli emigranti potevano affrontare il viaggio, favorivano l’emigrazione, che però di rado si tramutava in integrazione nel nuovo paese, dato che il fine ultimo era il ritorno in patria con maggiori possibilità finanziarie. Lavoratore che sei paese che vai Braccianti, contadini e artigiani specializzati furono le prime avanguardie del più vasto fenomeno migratorio italiano. Le prime tracce di un flusso migratorio di lavoratori lucchesi si registra nel XVI secolo. Dalla metà del XVII secolo in poi, anche taglialegna, carbonai e contadini cominciarono a lasciare la Garfagnana per la Corsica, mentre i figurinai si indirizzavano verso la Francia, l’Inghilterra e la Spagna, dove si trattenevano fino a due-tre anni, in periodi che chiamavano campagne. Di questo stile di vita itinerante facevano parte anche i venditori ambulanti di libri della Lunigiana che raggiungevano tutti i paesi europei, spesso spingendosi anche oltre oceano. Nei secoli successivi, più precisamente nel periodo post-napoleonico, contestualmente a musicisti di strada e venditori ambulanti, anche i figurinai lucchesi vennero notati in Italia come in Inghilterra. Dalla Lucchesia, e successivamente dalle aree attualmente corrispondenti alle province di Pisa e Massa Carrara, molti maschi adolescenti e adulti si spostavano all’estero e, dalle prima decadi del XIX secolo, perfino oltre oceano, in gruppi di 5-10, portandosi dietro la propria professionalità e senza subire pertanto lo sfruttamento di alcun intermediario. La storia dei figurinai lucchesi Il modellamento di statuette di carattere religioso e politico era stato introdotto nella provincia di Lucca durante il XVI secolo. Statuette simili erano state successivamente utilizzate dalla Repubblica di Lucca come doni ad autorità pubbliche straniere, così da diffondere la fama dei figurinai nell’intera Europa, tanto che alla fine del XVIII secolo l’industria delle statuette lucchesi era fiorente in Germania, Francia e Inghilterra mentre, all’inizio del XIX secolo, alcuni figurinai sono presenti in Svezia e Russia, impegnati nella decorazione delle nuove corti di San Pietroburgo e Mosca. I figurinai lucchesi rappresentarono l’avanguardia dell’emigrazione toscana del XIX secolo verso il nord Europa e gli Stati Uniti. Dal 1820 in poi, si registrano infatti compagnie di figurinai a Dusseldorf, Montreal, New York, Chicago, Caracas, Pernambuco in Brasile e perfino in Nuova Zelanda. La figura del figurinaio simboleggiava la risposta economica all’estrema parcellizzazione delle proprietà che non garantiva quel minimo d’indipendenza finanziaria. E così si formò una vera e propria catena migratoria. L’Unità d’Italia rompe gli equilibri e inizia il fenomeno dell’emigrazione toscana Proprio l’unità italiana, e la conseguente creazione di un mercato nazionale, ruppero gli equilibri sui quali si era finora basata l’economia della montagna. Anche nella Lucchesia la rivoluzione del sistema dei trasporti e il potenziamento delle infrastrutture di collegamento – facilitando la mobilità – attrasse forza-lavoro dalle aree montane verso il fondovalle. Contemporaneamente, il processo di trasformazione urbana e industriale allargò il mercato internazionale del lavoro. È all’interno di questo contesto economico in evoluzione che la tradizione migratoria lucchese continua e si riadatta. Emigranti parzialmente qualificati (sarti, calzolai e muratori) si affiancano ora a braccianti, boscaioli e figurinai in cerca di fortuna all’estero. Da questo periodo in poi, l’abitudine lucchese agli spostamenti all’estero in cerca di risparmi da accumulare e riportare nella comunità di origine apre la strada a un flusso migratorio che, in pochissime decadi, registrerà un così alto numero di emigranti – in Corsica, Francia, Stati Uniti, Argentina e Brasile in particolare – da eguagliare l’intera popolazione della provincia di Lucca. I paesi di destinazione: Corsica e Francia Già dalla metà del XVII secolo era consuetudine che – dopo la raccolta delle castagne – molti toscani delle aree appenniniche si imbarcassero a Livorno per Bastia. In Corsica venivano occupati come dissodatori e vignaioli fino all’inizio della primavera, periodo nel quale ritornavano in Toscana per attendere alle consuete pratiche agricole. L’emigrazione toscana in Corsica crebbe quasi costantemente dal XVII secolo fino al XIX secolo in cui rappresentava più del 70% dell’intero numero di italiani presenti nell’isola Dall’inizio del XIX secolo, in particolare in Tunisia e Algeria, molti lucchesi piantavano i primi oliveti e vigneti. Altri si muovevano lungo la costa provenzale, non solo maschi adulti ma anche giovani donne toscane di origine contadina, richieste nei centri urbani francesi sia come domestiche che come balie nelle famiglie della media e dell’alta borghesia francese. Ancora l’America è lontana, anche se inizia ad affacciarsi come idea Dopo l’unità d’Italia, gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile cominciarono lentamente a diventare le nuove destinazioni dell’emigrazione toscana. Fino ai primi anni del 1880, nessuno dei paesi oltre oceano rappresentava per l’emigrazione toscana una meta particolarmente appetibile, anche perché nessuno dei miti che circondavano l’America si era ancora diffuso nelle campagne e nelle aree montane toscane. Certo è che gli emigranti toscani – per la stragrande maggioranza di origine contadina e spesso semi-analfabeti – che si spostavano in Corsica, e successivamente in Brasile e Stati Uniti, non possedevano gli strumenti geografici né quelli strettamente culturali per misurare le distanze e neppure percepivano di spostarsi coscientemente tra diverse nazioni. Non viaggiavano tra l’appena unificata Italia e gli Stati Uniti ma, piuttosto, da una comunità appenninica all’America o, meglio, verso un’altra comunità urbana di venditori di frutta lucchesi a Chicago, seguendo mappe mentali sviluppate da altri compaesani nel tempo e nello spazio. L’America “lunga”, quella “bona” e quella “non bona” Gli emigranti parlavano impropriamente di America lunga (intendendo per “lunga” la distante Australia), di America bona (intendendo per buona, e quindi con buone opportunità di lavoro, gli Stati Uniti) e America non bona (intendendo per non buona, e quindi con ricordi di sgradevoli esperienze, sfortuna e povertà, i paesi latino-americani, e in particolare Argentina e Brasile). Una tale classificazione non-geografica è confermata dall’appellativo che, in Toscana e altrove in Italia, veniva dato ai compaesani emigrati negli Stati Uniti (ma anche in Australia) di “americani”. Nel 1908, quando l’emigrazione dall’Italia e dalla Toscana verso le destinazioni transoceaniche aveva superato quella verso i paesi europei, la prefettura di Lucca inviò un formulario a tutti i comuni della provincia per raccogliere informazioni sul fenomeno migratorio: risultò che la permanenza media degli emigranti lucchesi negli Stati Uniti fosse tra i cinque e i dieci anni e che il 90% di chi tornava emigrava nuovamente entro un anno dal ritorno. Raramente gli emigranti dimenticavano il loro paese d’origine. Gente di grande parsimonia e con uno spiccatissimo senso del risparmio, dopo aver raccolto, talvolta con gravi stenti e privazioni, un piccolo capitale preferiva ritornarsene alla propria terra ormai in possesso di sufficienti mezzi economici per comprarsi delle proprietà fondiarie e sposarsi. Queste erano le aspettative che giocavano un ruolo importante nella “febbre dell’emigrante” e che lo inducevano a spingersi verso remote destinazioni in cerca di aleatorie fortune. Emigrazione toscana nel XIX secolo: il Brasile ricerca nuova forza lavoro dopo l’abolizione della schiavitù Circa sedici milioni di emigranti lasciarono l’Italia per l’estero nel solo periodo 1876-1925. Molti verso l’Argentina, mentre toscani – e lucchesi in testa – preferirono il Brasile, fors’anche per il fatto che il flusso migratorio diretto verso l’Argentina si consolida qualche decennio prima. Partivano, fra il 1850 e il 1870, dai porti di Marsiglia e Le Havre su navi a vapore per raggiungere gli stati brasiliani di Bahia e Pernambuco. È però soltanto dal 1880 in poi che si registra un flusso consistente di lucchesi verso il Brasile, la cui economia iniziava a richiedere forza-lavoro nelle vaste piantagioni di caffè dell’interno, dov’era necessario rimpiazzare i braccianti-schiavi dopo l’abolizione della schiavitù nel 1888. La crescita del flusso era generata da vari fattori concorrenti: la crescita dell’economia brasiliana, la presenza consolidata in Brasile di alcuni figurinai trasformatisi in commercianti lungo le aree costiere e – non ultima – l’attività di propaganda svolta capillarmente dagli agenti migratori in Lucchesia e altrove. Fra il 1876 e la fine del secolo, il Brasile assorbe una media del 15% di tutti gli emigranti dalla provincia di Lucca, fino a culminare al 68,6% del 1896, tanto da costringere le autorità ad aprire un vice-consolato brasiliano a Lucca al fine di preparare tutte le pratiche burocratiche per l’espatrio. La crisi del caffè Mentre fino al 1890 il numero di emigranti maschi era esorbitante, nella decade che porta al XX secolo aumenta progressivamente il numero di donne lucchesi che emigrano, parzialmente confermando un cambiamento nel modello migratorio che, da temporaneo, evidentemente si trasforma in permanente con l’arrivo di mogli, compagne e figlie. Tuttavia, la crisi internazionale del prezzo del caffè, nel 1898, creò un forte rallentamento nei flussi migratori in arrivo in Brasile e il conseguente ritorno di molti italiani e toscani alle loro terre. Ciononostante gli emigranti toscani in Brasile rappresentavano ancora una delle più numerose comunità su base regionale, e certamente una di quelle di più antico insediamento. Il sogno americano nell’emigrazione toscana Dalla fine del XIX secolo in poi, gli Stati Uniti diventarono una delle mete preferite dell’emigrazione toscana, con il 1907 che segna la più alta percentuale di emigranti dalla provincia di Lucca in direzione degli Stati Uniti. Durante il lungo periodo dall’Unità allo scoppio della prima guerra mondiale, la temporaneità dell’emigrazione toscana è testimoniata dall’etichetta “birds of passage” (uccelli di passo), che era stata coniata negli Stati Uniti per tutti i lavoratori dell’Europa mediterranea (e in particolar modo italiani) che si trattenevano nel paese per pochi mesi, processo facilitato dalla crescente rapidità del viaggio con la nave a vapore che aveva eliminato la maggioranza dei pericoli e dei disagi dell’emigrazione transoceanica tramite i velieri ottocenteschi, anche se il viaggio in terza classe rappresentava un incubo ancora per molti. Gli emigranti toscani e lucchesi attraversavano gli Stati Uniti trovando impiego in ogni area geografica e in ogni settore lavorativo che potesse offrire buoni guadagni e facile accumulazione di risparmi, che si trattasse della costruzione del canale di Panama, della rete ferroviaria degli stati orientali, o delle foreste del Montana o del Colorado. Lungo le vie commerciali i primi figurinai si erano spinti fino a San Francisco già a metà del XIX secolo, dove una piccola comunità di lucchesi seguì a quella più numerosa di genovesi, facendo fortuna con frutta e verdura che, già nel 1860, era quasi un loro monopolio, tanto che l’area commerciale fu ribattezzata il mercato “Colombo”. Alcune società di distribuzione funzionavano anche da agenzie di prestiti, anticipando i soldi a vari agricoltori lucchesi dell’area metropolitana, che potevano così investire in nuovi macchinari e sistemi d’irrigazione. Le principali origini dell’emigrazione toscana In ultima analisi, sia l’origine rurale che la ricerca di opportunità d’affari sono sicuramente due dei più importanti fattori che hanno influenzato la distribuzione geografica e il modello occupazionale dei lucchesi nella maggior parte dei paesi all’estero dove si sono insediati. Emigranti toscani erano sparsi in tutta l’America e in Canada, ma tendevano a stare fuori dalle grandi città Emigranti toscani erano presenti non solo a San Francisco, ma un po’ in tutti gli stati, con una concentrazione nelle aree metropolitane di Filadelfia, Chicago e Toronto, in Canada. In genere tendevano a concentrarsi in uno spettro contenuto di attività lavorative, in special modo per l’aspirazione contadina all’indipendenza economica, che li spingeva verso un senso di sicurezza derivante dal possesso di beni immobili. D’altronde le attività agricole e la gestione di piccole aziende a livello familiare erano ideali, dato che la natura di queste imprese non richiedeva la piena partecipazione alla società civile americana, né entrava in conflitto col lavoro organizzato: era infatti convinzione generale nella comunità toscana – poi incoraggiata anche dalle autorità consolari italiane –, in particolare nell’area di San Francisco, che un insediamento fuori dalla città avrebbe evitato frizioni e conflitti coi già forti e influenti sindacati di lavoratori della metropoli californiana. Questa lettura potrebbe a sua volta spiegare come la maggior parte degli emigranti toscani in California si sia impiegata nel settore agricolo e poi anche boschivo, in forte crescita dopo l’arrivo nel 1880 di un grosso contingente di carbonai dall’alta Lucchesia, che andò a ingrossare le fila dei taglialegna toscani già presenti nelle foreste della California settentrionale. Il secondo dopoguerra e la conclusione del fenomeno migratorio toscano Col secondo dopoguerra si conclude il fenomeno migratorio toscano. Quindi, riassumendo, le destinazioni preferite dall’emigrazione toscana sono state Corsica e Francia nel XIX secolo, il Brasile e, fino a metà degli anni 1920, gli Stati Uniti, destinazione successivamente sostituita dall’Australia, seppure con cifre molto meno rilevanti. All’interno del contesto dei vari paesi di destinazione ai quali si è rivolta l’emigrazione toscano-lucchese, abbiamo individuato un modello migratorio la cui componente fondamentale sembra essere stata una “cultura della comunità”, un modo di partire col fine di tornare, in cui maschi adulti in età lavorativa arrivano all’estero, lavorano in nicchie protette dalla comunità di appartenenza e, in una seconda fase, decidono tra l’emigrazione temporanea (e quindi il ritorno) o permanente (e quindi fanno arrivare da loro mogli e figli). 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