14 Novembre 2024 2024-11-11T11:00:58+01:00 Storia di Prato, comune recente ma città antica TuscanyPeople Cyrano de Bergerac Share: Immergiti nella storia di Prato e scopri l’affascinante evoluzione di questa città toscana. Una lettura imperdibile per gli appassionati di storia locale. Oggi tocca alla storia di Prato, una delle città toscane meno conosciute della regione ma con un’evoluzione veramente particolare. Questo articolo si inserisce nella rubrica speciale all’interno di TuscanyPeople attraverso cui stiamo passando in rassegna, in 10 articoli diversi, la storia dei 10 capoluoghi di provincia toscani. La storia di Prato si perde nella preistoria, finché non diventa Pagus Cornius La storia della città di Prato inizia nel VI sec. con l’invasione dei Longobardi che si stanziano nella Val di Bisenzio e nella zona di Montemurlo, sebbene la zona fosse già abitata nel paleolitico e, successivamente, dai Liguri, dagli Etruschi (VII – V sec. a.C.) e infine dai Romani. I ritrovamenti archeologici di Galceti, di Artimino e di Gonfienti, insieme all’antico nome di Pagus Cornius, attestano con sicurezza la presenza di queste civiltà. Pagus Cornius, unità amministrativa romana che significava “villaggio”, era situata lungo la via Cassia, tra Florentia e Pistoriae (in direzione di Luni) all’incrocio con la Val di Bisenzio che conduceva alla pianura padana. Pagus Cornius si trovava a circa un miglio a nord della pietra miliare posta lungo la via Cassia denominata Ad tertiodecimum lapidem (A 13 miglia romane da Florentia). Fiumi e vie che hanno fatto la storia di Prato Il termine Cornius sembra invece riferirsi al regime del fiume Bisenzio che proprio in quel luogo curva artificialmente. Alcuni studi dimostrano che il fiume in epoca remota sarebbe dovuto confluire nell’Ombrone, a Poggio a Caiano. Il Bisenzio, invece, prima di raggiungere la piana fa una brusca deviazione per scorrere verso Ponte Mercatale e, successivamente, raggiungere Gonfienti (il cui toponimo significa confluenza fra il torrente Marinella e proprio il fiume Bisenzio). L’antica via Cassia (Cassia Vetus) ricalcava l’antica Via dei Sette Ponti Etrusca: partendo da Fiesole passava per Sesto (Fiorentino) e, da Piazza Duomo, si dirigeva a Montemurlo e poi Pistoia con un percorso pedecollinare. L’antico Ponte Petrino era infatti dedicato a Marco Petronio legato del proconsole Gaio Antonio Ibrida che aveva sconfitto Catilina e Gaio Manlio nella vicina Campo Tizzoro nei pressi di Pistoia. È qui che l’antica Cassia si univa alla nuova Cassia (che partiva dalla nuova città di Florentia fondata nel I secolo a.C), nei pressi del fiume Bisenzio. Nel 1996, la svolta: la certezza che Prato ebbe un’importante civilizzazione etrusca Nel 1996 la scoperta della città etrusca di Gonfienti – imponente centro urbano del VII/V secolo a.C., a circa tre km dal centro storico di Prato – sconvolse tutta la storia di Prato e gli studi precedenti: si può quindi presupporre la presenza di una imponente civilizzazione etrusca. Con il processo di cristianizzazione, il culto di Santo Stefano protomartire si diffuse intorno al IV secolo, e l’antica Pieve di Santo Stefano del Pagus Cornius, costruita intorno al V secolo, diventò successivamente un importante centro di culto dove conversero i fedeli dalle campagne (antropizzate precedentemente con centuriazione etrusco romana). Arrivano i Longobardi, ma il toponimo “Prato” è carolingio Con la discesa dei Longobardi in Italia, il pagus cornius si trasformò in Borgo al Cornio (il termine germanico longobardo burg poi latinizzato in burgus) che aveva ormai raggiunto un discreto numero di abitazioni, oltre a essere centro di produzione artigianale e di mercati. Il toponimo Prato nasce tuttavia con l’avvento dei Conti Alberti, famiglia feudale di origine carolingia che di fatto eredita per concessione del Sacro Romano Impero il feudo di Prato. Il primo documento in cui è citato il toponimo Prato (o meglio si parla di un “prato”, termine destinato a divenire toponimo) è una tradizio nuziale secondo la legge longobarda del 1027: vi sono menzionate curtis e casa del conte Ildebrando, poste immediatamente fuori del castellum prati. I prati erano infatti spesso aree giurisdizionali attribuite ai domini loci, e Ildebrando fu il capostipite del nobile casato degli Alberti signori di Vernio, di Prato e di Capraia. Nella seconda metà dell’XI sec. si riunirono a formare la città due nuclei abitativi distinti: il Borgo al Cornio, situato nella zona dell’attuale piazza Duomo, nei pressi del quale doveva già esistere l’antica pieve di Santo Stefano, e il castello di Pratum dei Conti Alberti, che sorgeva poco distante e che diede il nome alla città. Prato nell’Età Comunale Il potere degli Alberti declinò quando si formò un’élite cittadina di mercanti, artigiani, prestatori di denaro, notai e giudici, che intorno al 1140 diede vita a una forma governativa autonoma: il Comune, affidata a consoli e podestà, eletti in carica per sei mesi. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. furono costruite in successione due cinte murarie a difesa del Comune che aveva assunto sempre più importanza per il commercio della lana. Nello stesso periodo però Prato fu al centro di accanite lotte di fazione tra guelfi e ghibellini, e subì la scomoda e invadente vicinanza di Firenze che ne determinò anche la vita politica e istituzionale. È in questo periodo, esattamente nel 1313, che è databile l’inizio della protezione assicurata alla città da parte del re di Napoli, Roberto d’Angiò: Prato infatti non riusciva a essere governata a causa delle fazioni, così i cittadini decisero di affidarla a un potere esterno. Tuttavia, già nel 1327 venne concessa a Carlo, figlio di Roberto, la signoria perpetua della città, e ciò porterà con sé gravi conseguenze. Nel XIV sec., a causa di carestie ed epidemie, Prato si ridimensionò notevolmente come popolazione (nel 1348 contava circa 18.000 unità), e le famiglie più abbienti, sopravvissute alla peste nera di quell’anno infausto, ebbero la possibilità di costruire ex novo i palazzi. La città di Prato nell’Età Medicea Nel 1351 Prato perse la sua autonomia ed entrò a far parte dei domini fiorentini. Ma non ci fu nessun evento bellico di sfondo, solo la concessione dei diritti dinastici da parte degli angioini dietro il pagamento di 17.500 fiorini. Iniziò quindi un periodo di declino, poiché l’arte della lana pratese divenne subalterna a quella di Firenze, mentre si espandeva l’agricoltura a causa della domanda di prodotti proveniente dalla città vicina. Nel Trecento spicca la figura di Francesco di Marco Datini, famoso mercante pratese, che crea dal nulla una serie di scali commerciali in tutta Europa, sebbene anche lui fosse costretto a richiedere la cittadinanza fiorentina per poter allargare i propri commerci: Prato riesce infatti a espandersi solo verso destinazioni che non le sono precluse, specialmente nei Balcani e nel bacino del Danubio. Un avvenimento drammatico accadde nel 1512: il sacco di Prato compiuto dalle truppe spagnole accorse per restaurare la spodestata signoria medicea, che doveva servire da monito per la ribelle città di Firenze. Questa rimane ancora oggi una delle pagine più tristi della storia della città: la popolazione, che prima dell’arrivo delle truppe spagnole, era di 12.000 abitanti, venne letteralmente dimezzata e non furono risparmiati neppure donne e bambini. Per approfondire: Francesco Datini: il caritatevole mercante pratese che inventò la holding L’Età Lorenese: Prato diventa città e si espande nel tessile Per fortuna la ripresa, dovuta ad alcune misure del governo fiorentino e alla laboriosità della popolazione, fu abbastanza sollecita, tant’è che nel 1653, con l’istituzione della diocesi, a Prato venne concesso il titolo di Città, mentre sino ad allora era stata chiamata Terra. Ma fu nel Settecento, grazie alla politica economica del Granducato di Toscana retto dai Lorena che cominciarono a delinearsi i presupposti della città moderna, e fu facilitata l’espansione dell’attività tessile pratese. Già nel 1660 il Granduca di Toscana scriveva: “In Toscana solo due città crescono, Livorno e Prato; tutte le altre diminuiscono“. Nel Settecento furono soppresse le Corporazioni, ormai superate, e venne costituita la Camera di Commercio di Firenze, mentre nel 1738 fu emanato un decreto volto a liberalizzare le attività laniere di tutto il Granducato che fino ad allora avevano dovuto sopportare le restrizioni medicee che favorivano l’arte della lana fiorentina. Nei primi decenni dell’Ottocento incominciò la meccanizzazione dell’industria e, già nella seconda metà del secolo, si sviluppò la tipica attività locale della fabbricazione della lana rigenerata, ricavata dai residuati tessili: questi prodotti conquistarono i mercati mondiali ponendo le basi dello sviluppo successivo che poi avrebbe permesso alla città di conquistare l’attuale leadership nel settore. Prato diventa distretto tessile Nel corso del XX secolo Prato diventa un distretto tessile, una città dove si producono tessuti, e in cui quasi tutti si dedicano in prevalenza a questa attività: ne nasce così un sistema di vedere le cose un po’ univoco, una comunità fondata sull’esaltazione di ciò che dona ricchezza. A Prato si riciclano gli stracci e dagli stracci si fa tessuto. I tessuti vengono poi venduti alle più grandi case di moda italiane e straniere. Il distretto raggiunge ampie dimensioni, con 8000 imprese coordinate fra loro e impegnate nella filiera tessile. La recente e profonda crisi del settore, a fronte di una globalizzazione che ha visto i paesi asiatici protagonisti, impone però serie domande sul futuro di Prato. Quale potrà essere da qui in avanti la principale attività economica cittadina? Soggiornare e ristorarsi a Prato: i nostri consigli Strutture ricettive Ottime le sistemazioni di livello che offre Prato. Se Wall Art Hotel & Residence Prato è un sistema di spazi per ospitare momenti sinergici tra imprese, arte, storia ed eventi metropolitani, un centro multifunzionale aperto per incontrare e sperimentare l’arte; Bed & breakfast Podere la Rondine Prato è invece un nido di pace a due passi dal centro, col fascino d’una residenza toscana immersa in un verde ettaro di giardino ed uliveto. Molto bello anche l’Art Hotel Museo – dietro al celebre Centro di Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato -, con le sue innumerevoli installazioni artistiche provenienti in gran parte dall’esclusivo archivio del collezionista Carlo Palli. Ristoranti pratesi d’eccellenza Nemmeno il cibo di qualità è un problema a Prato. Per chi ama il pesce, senz’altro Tonio, con le sue specialità di mare in proposte classiche e fragranti è una buona scelta; così come lo è l’elegante Il Piraña, con la sua solida e gustosa cucina di pesce priva di svolazzi tecnici o invenzioni avanguardiste. Mentre per chi ama la cucina moderna o contemporanea, consigliamo Pepenero, in cui lo chef-patron Mirko Giannoni, partendo da ottime materie prime del territorio, asseconda il ritmo delle stagioni con un pizzico di creatività; e senz’altro lo stellato Paca, a pochi passi dal centro storico, in cui lo chef Niccolò Palumbo, il pastry chef Gabriele Palumbo e il maître Lorenzo Catucci prediligono una cucina moderna, attenta alle materie prime di piccoli produttori locali. 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