La vera storia di San Galgano e della famosa abbazia toscana senza tetto nella splendida Val di Merse, in provincia di Siena

Tutta la verità su San Galgano e la sua splendida abbazia toscana

Parleremo di:

  • La vera storia dell’abbazia senza tetto
  • Il collegamento tra San Galgano e Re Artù
  • L’Eremo di Montesiepi e l’Abbazia di San Galgano
  • L’inizio del declino: carestia, peste e soldati di ventura
  • Visitare l’Abbazia di San Galgano oggi

L’Abbazia di San Galgano, in territorio senese, precisamente nel comune di Chiusdino, è molte cose insieme. È una delle più grandi meraviglie europee della cristianità, tanto da aver eccitato la fantasia di importanti registi cinematografici, così come di artisti d’ogni genere. È un’icona di bellezza rivoluzionaria, anticonformista, così priva di tetto, finestre, e di qualsiasi orpello mondano, quasi a rappresentare un conato di slancio verso il cielo che agognasse a liberarsi della pesante gravità terrestre. È un luogo intriso di intenso misticismo e di vera spiritualità, nonostante sia sconsacrata dal 1789 (curiosamente l’anno d’inizio della Rivoluzione francese). È legata al ciclo arturiano della Spada nella Roccia.

Insomma un unicum irripetibile, un luogo magico, una specie di vortice dimensionale in cui la vita si arresta e fa capolino un luminoso spicchio di eternità.

Ma quali sono le origini di San Galgano?

Gli interni dell'abbazia di San Galgano, chiesa senza tetto in Toscana

La vera storia dell’abbazia toscana senza tetto

San Galgano era uno di quei personaggi leggendari, tipici medioevali, che iniziano con una vita dissoluta e finiscono con la penitenza e l’austero ritiro spirituale.
Era il giorno di Natale del 1180, quando Galgano, giunto sul colle di Montesiepi, conficcò nel terreno la sua spada per trasformarla simbolicamente in una croce. Le similitudini col mito arturiano appaiono evidenti, sebbene Artù estragga la spada dalla roccia, mentre Galgano la pianta. Nella Rotonda di Montesiepi c’è infatti un masso da cui spuntano un’elsa e un pezzo di spada corrosa dagli anni e dalla ruggine, ora protetto da una teca.

Galgano, Guglielmo, e un’ipotesi affascinante

In molte biografie di San Galgano, inclusa la Vita Sancti Galgani de Senis emergono connessioni con l’Eremo di San Guglielmo di Malavalle, a Castiglione della Pescaia. In pratica Guglielmo e Galgano si conoscevano e avevano molte affinità: entrambi cavalieri, decisero di votarsi alla vita eremitica abbandonando la militanza terrena.

Ora, Guglielmo, secondo una tradizione popolare antica, potrebbe essere in realtà Guglielmo X d’Aquitania, padre di Eleonora, alla cui corte operò Chrétien de Troyes, autore de Le Roman de Perceval ou le conte du Graal, in cui compare per la prima volta il Santo Graal, elemento portante del ciclo arturiano. Pare poi che Guglielmo X, duca d’Aquitania, morisse nel 1137, durante un pellegrinaggio a Santiago di Compostela, lasciando erede del suo vastissimo dominio la figlia Eleonora, anche se nessuno vide mai la sua salma. E alla fine potrebbe proprio essere lui a comparire in Maremma, alcuni anni dopo questi fatti, tanto che i risultati di indagini scientifiche sulle reliquie di San Guglielmo rendono fortemente probabile la sua origine nordica.

Gli interni aperti della bellissima abazia di San Galgano, in Toscana

Il collegamento tra San Galgano e Re Artù

Ma la cosa più interessante è che il processo di beatificazione di Galgano, risale incontestabilmente al 1185, 5 anni prima che Chrétien de Troyes scrivesse il suo «Perceval», e 25 anni prima che il tedesco Wolfram von Eschenbach strutturasse più solidamente la storia nel suo «Parzival» (1210). E allora? Allora alcuni studiosi affermano che ci sia un collegamento tra Galgano e Re Artù, ma molto diverso da come si possa pensare, inverso, si può azzardare. Intanto il nome, Galgano, molto simile a Galvano, uno dei cavalieri della tavola rotonda. E poi i collegamenti, neppure così misteriosi tra la Toscana della valle del Merse, dove passava la via Francigena, e la Francia medioevale di Chrétien de Troyes, il grande artefice del ciclo bretone.

Se quindi fosse stato Guglielmo di Malavalle, alias Guglielmo X d’Aquitania, a far conoscere la leggenda della spada nella roccia a Chrétien de Troyes, si potrebbe addirittura arrivare a ipotizzare che il vero mito della spada nella roccia sia nato in Toscana alla fine del 1100 sebbene, secondo la leggenda, re Artù sarebbe vissuto molti secoli prima. Ma si sa, la finzione romanzesca può tutto. Tanto più che la spada nella roccia britannica nessuna l’ha mai vista, mentre quella di San Galgano esiste tutt’ora. O no?

La spada nella roccia toscana si trova nell'eremo di Montesiepi ,vicino a Chiusdino, nella campagna senese

L’eremo di Montesiepi e l’Abbazia di San Galgano

Nel luogo della morte di san Galgano, per volontà del vescovo di Volterra, intorno al 1185 si eresse una cappella. Successivamente si decise di costruire un vero e proprio monastero. Negli ultimi anni della sua esistenza Galgano era entrato in contatto coi Cistercensi e furono proprio loro a fondare la prima comunità di monaci.

Nascita e crescita di prestigio dell’Abbazia

Nel 1218 si iniziarono i lavori di costruzione dell’abbazia nella sottostante piana del Merse, tanto che nel 1227 c’era già testimonianza di due chiese, una superiore, Montesiepi, e una inferiore, San Galgano.
Grazie anche all’ingente patrimonio fondiario monastico dovuto a donazioni e lasciti, già alla metà del XIII secolo l’Abbazia di San Galgano era la più potente fondazione cistercense in Toscana. Essa veniva inoltre protetta e generosamente beneficiata dagli imperatori stranieri, oltre che esentata dal papa dal pagamento della decima.

Nel 1288 l’Abbazia ottenne la consacrazione. I suoi monaci possedevano una notevole importanza economica e culturale, tanto da spingere la Repubblica di Siena a stringere stretti legami con loro e ad affidargli diversi incarichi di prestigio.

L'abbazia di San Galgano vista dall'alto in cui si nota la pianta concepita secondo i principi della scala Diatonica naturale applicati all'architettura

L’inizio del declino: carestia, peste e soldati di ventura

Il XIV secolo segnò l’inizio del declino dell’Abbazia di San Galgano. La carestia del 1328, prima, e la peste del 1348, dopo, rappresentarono due durissimi colpi per la comunità, a cui si aggiunsero i plurimi saccheggi delle compagnie di ventura, soprattutto quelli del terribile Giovanni Acuto. Alla fine del secolo solo 8 persone abitavano a San Galgano.

I secoli dell’inesorabile degrado dell’Abbazia di San Galgano

Nei secoli successivi, le lotte tra papato e Repubblica di Siena, e l’affidamento della struttura a uno scellerato abate commendatario, contribuirono a impoverire San Galgano ancora di più. Da una relazione del 1576, pare che vi abitasse un unico monaco, il quale neanche indossava l’abito dell’ordine, che le vetriate dei finestroni fossero tutte distrutte, che le volte delle navate fossero crollate in molti punti e che, presso il cimitero, rimanessero solo parte delle rovine delle infermerie, demolite all’inizio del Cinquecento.

In un’altra relazione del 1662 si legge: “La chiesa non può essere tenuta in peggior grado di quello che si trova e vi piove da tutte le parti”.
Nel 1781 crollò quanto rimaneva delle volte, mentre nel 1786 un fulmine fece crollare il campanile.
Negli anni seguenti l’Abbazia di San Galgano si trasformò addirittura in una fonderia, finché, nel 1789, fu definitivamente sconsacrata e abbandonata.

La riscoperta a fine Ottocento

Miracolosamente, tuttavia, verso la fine dell’Ottocento riprese l’interesse verso questa meravigliosa chiesa toscana. Si iniziò a parlare di restauro, finché, nel 1924, si realizzò un intervento seguendo i principi di John Ruskin, padre del restauro conservativo, semplicemente consolidando quanto rimaneva del monastero. Un’intuizione che più felice non poteva essere.

Gli interni aperti, col cielo a vista, della bellissima abazia di San Galgano, in Toscana

Visitare l’Abbazia di San Galgano

La chiesa rispetta alla perfezione i canoni della abbazie cistercensi stabiliti dalla regola di San Bernardo: sorge lungo un’importante via di comunicazione, la Maremmana, vicino a un fiume (il Merse) così da utilizzarne la forza idraulica, e in un luogo boscoso o paludoso, da bonificare, in modo da sfruttarne il terreno per le coltivazioni.

La struttura

L’abbazia di San Galgano è un suggestivo esempio di architettura gotica cistercense in Italia.

Lo stile gotico si sviluppò da noi prima di tutto grazie ai monaci cistercensi che non importarono la versione conosciuta nel’Ile-de-France, ma una variante orientata sul tardo-romanico borgognone.

La pianta dell’Abbazia è a croce latina. La facciata, incompiuta, mostra quattro colonne con aggetti per un portico che non venne mai costruito. Ha tre portali con archi a pieno centro. Lungo i fianchi, i muri sono aperti da monofore e bifore ogivali: le colonnine di divisione sono andate tutte perdute, tranne una.

Nell’abside si notano due ordini di monofore e due oculi, uno grande e uno piccolo.

L’interno, invaso dal prato, è molto affascinante. Lo spazio è diviso in tre navate da sedici pilastri cruciformi, con quattro colonne incastrate a un terzo. Le arcate s’innalzano a sesto acuto con doppio archivolto.
L’ariosa navata mediana, priva delle volte gotiche crollate, è interamente invasa dalla luce.

Sulla destra della chiesa si trova il monastero, del quale rimangono: la Sala capitolare divisa in due navate da basse colonne, con portale ogivale, due bifore e tre monofore; la Sala dei monaci con soffitto a volte; un piccolo tratto del chiostro ad arcate su colonnine binate.

Nell’insieme, uno spettacolo mistico che unisce in un abbraccio d’amore terra e cielo, come a mio parere dovrebbe essere per ogni luogo di culto.

La luce solare filtra dalle finestre aperte dell'abbazia di San Galgano creando un effetto mistico

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