16 Febbraio 2017 2019-11-30T15:10:37+01:00 “Piccoli” porcellini crescono in Toscana TuscanyPeople Alessio Mariani Share: La Toscana si sa, è una regione dove i salumi di maiale e la carne in generale sono al centro della cucina tradizionale. Diciamo che, per un toscano, senza “la ciccia” quasi non si può parlare di pasto completo. Ma quali sono i migliori suini toscani che vengono impiegati per la produzione dei salumi? Dove e come vengono allevati per essere considerati tra i più buoni di Italia e del mondo? 100% made in Tuscany Suini toscani: Macchiaiola e Cinta Senese razze d’eccellenza made in Tuscany “Ma perché il suino della Valdelsa è così ricercato e pregiato per l’esportazione ? La ragione è semplicissima e spiegabilissima. Essa sta nella nella conservazione della vecchia razza Cinta, la quale ha la patria nel chiantigiano e che si riconosce per la caratteristica fascia bianca..”. Abbiamo ritenuto opportuno citare gli atti del nono Congresso degli Allevatori di Bestiame, tenutosi a Firenze nel 1914, al fine di mostrare fin da subito come l’eccellenza dei suini toscani e delle loro carni risulti davvero antica e si leghi in maniera indissolubile tanto alle caratteristiche del territorio, quanto all’orgoglio dei nostri allevatori. Eppure per assaporare fino in fondo il gusto intenso di un prosciutto di Cinta Senese se non i ricercati tagli freschi della Macchiaiola, occorre risalire a tempi ancora più antichi. Origini neolitiche, trombe etrusche e buon governo medievale L’analisi dei resti suini toscani, rinvenuti in molti siti neolitici della regione, ha dimostrato come i maiali di allora possedessero una struttura ossea assai prossima a quella del cinghiale locale. Ciò consente di escludere un significativo apporto genetico delle razze derivate dall’addomesticamento dei cinghiali mediorientali che seguirono l’irradiarsi dell’agricoltura dalla Mesopotamia verso occidente. Così, se non c’è certezza riguardo le origini del popolo etrusco è pertanto assai plausibile che i porcari rasna allevassero i discendenti dei primi suini toscani. Lo storico greco Polibio e il l’erudito romano Varrone riferiscono addirittura come gli Etruschi, soliti condurre i maiali a pascolare nei boschi, fossero in grado di addestrarli a seguire lo squillo di una tromba, utilizzata dal porcaro per mantenere unito il branco. E’ probabile che l’allevamento silvestre di questi antichi porci abbia mantenuto un costante interscambio genetico con il cinghiale, cosicché non sorprende che l’iconografia romana e medievale abbia raffigurato i suini toscani con zanne pronunciate, grugno allungato, linea sparta (criniera di setole) e orecchie dritte, come quelle della cinta senese, chiaramente riconoscibile per via della fascia bianca, raffigurata da Ambrogio Lorenzetti nella sua celebre Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, completata, tra il 1338 e 1339, ad ornare le pareti del Palazzo Pubblico di Siena. Le razze dei suini toscani Così se pure in pieno Seicento mediceo vada registrata l’importazione di molti maiali provenienti dalla Cina, caratterizzati da dimensioni medio-grandi ed orecchie cadenti verso il basso che forse contribuirono ad addolcire i tratti delle razze toscane, attorno alla metà dell’Ottocento, mentre Firenze diventava capitale italiana, le nostre razze suine conservavano ancora ininterrotta la discendenza etrusca ed erano accomunate da rusticità e manto scuro. Fu allora che ebbe inizio il lento processo di decadenza, causato dall’ascesa degli allevamenti industriali e dalla concorrenza delle rosee razze britanniche. Di molti maiali toscani è rimasta infatti memoria soltanto grazie agli studi zootecnici del secolo scorso. Nel 1927, Ettore Mascheroni già riferiva, sui volumi della Nuova Enciclopedia Agraria Italiana, come la Cappuccina di Anghiari, detta anche Chianina o Casentinese, fosse già in grave declino. La Cappuccina era caratterizzata da un manto grigio ardesia molto folto e dal muso allungato maculato di bianco; nessun esemplare è sopravvissuto fino ai giorni nostri. Soltanto poco migliore la situazione della Rossa del Casentino, allevata nella Romagna Toscana, ovvero nei comuni toscani che si affacciano sul versante settentrionale dell’Appennino Tosco-emiliano (Marradi, Palazzuolo e Fiorenzola), doveva essere compresa nella varietà Faentina della Bruna Romagnola, i cui ultimi esemplari, non più classificabili tra le antiche varietà locali, sopravvivono ad oggi soltanto in Romagna. La Cinta Senese La Cinta Senese, inconfondibile, fiera della sua livrea nera, interrotta soltanto da una fascia bianca che l’avvolge dalla “spalla” alle zampe anteriori, è senza dubbio la razza suina più famosa della Toscana; la sua roccaforte si trova nell’area detta della Montagnola Senese, compresa tra i comuni di Casole d’Elsa, Monteriggioni, Siena e Sovicille. Per conoscerla meglio ci siamo rivolti a Giovanni Maria Farina, agronomo dell’azienda Castello di Meleto (Gaiole in Chianti) e ad Emanuele Biotti, addetto stampa di Renieri (Poggibonsi), il cui Prosciutto Toscano Dop, proprio quest’anno è stato incluso, con massima valutazione (conseguita da soli 23 prodotti) nella Guida Salumi d’Italia, curata da L’Espresso. Entrambi hanno descritto la Cinta Senese come un maiale adatto all’allevamento allo stato brado o semi brado, amante di ghiande, erbe e castagne che si procura al pascolo. Anni Cinquanta Fino agli Anni Cinquanta, la Cinta aveva resistito bene alla concorrenza dei maiali inglesi; ancora nel 1954, nel senese, se ne allevavano 160.000 esemplari, importanti anche per la produzione di maialini detti Grigi, ottenuti incrociando una scrofa Cinta Senese con un verro Large White. Tali maialini grigi, nel nome e nel manto, venivano poi esportati verso i grandi porcilai dell’Italia settentrionale, dove, grazie ai primi mesi di vita passati all’aperto, si dimostravano molto resistenti all’allevamento intensivo e produttori di una carne ottima; esaltata ancora oggi nel ricercato prosciutto Grigio del Casentino, sebbene per ottenerlo si preferisca incrociare il verro di Cinta con la scrofa Large White e si possano impiegare anche anche altri incroci, ovviamente da allevarsi all’aperto secondo un rigoroso disciplinare. Anni Sessanta Verso la fine degli Anni Sessanta tuttavia il commercio dei grigi si interruppe mentre, assieme alla mezzadria, l’allevamento, quasi domestico, delle razze locali decrebbe. Così già nel decennio successivo, al censimento curato dall’Associazione Senese Allevatori risultarono appena cento cinte, tra le quali solo dieci suini riproduttori (due verri e otto scrofe). Nonostante l’impegno della Regione Toscana e degli allevatori, la consistenza numerica della razza rimase esile fino alla metà degli Anni Novanta; solo allora iniziò la rimonta. La Cinta Senese nell’attualità Oggi, in un contesto culturale e culinario, in cui le produzioni tradizionali e di qualità non scendono più a compromessi con la rapidità di ingrassamento, vengono allevate diverse migliaia di Cinte Senesi, ma ancora con grande attenzione. I soggetti riproduttori sono dotati perfino di pedigree, ovvero di un albero genealogico che giunge fino al 1975, in modo da poter ridurre progressivamente il livello di consanguineità, creatosi nei decenni precedenti. La Cinta è divenuta inoltre l’unica razza animale a potersi fregiare del riconoscimento Dop, solitamente riservato ai prodotti finiti che pertanto, nel caso di questo maiale, garantiscono tutti elevatissimi standard qualitativi; dal prosciutto crudo, caratterizzato da un sapore molto intenso e dal grasso delicato, alla toscanissima finocchiona che Emanuele consiglia di affiancare ad un bel bicchiere di vino rosso, come si faceva un tempo nelle nostre osterie. La Macchiaiola Maremmana Accrescimento lento, ma carne eccellente. Questa descrizione minimale della Macchiaiola Maremmana espone perfettamente le ragioni di decremento e rinascita di un maiale dal pelo nero e tratti ancestrali; per conoscerla meglio ci siamo rivolti a Giulia Tissi dell’Azienda Agricola il Poggiolino, “persa” tra il verde di Montemurlo. Giulia ci ha raccontato come in tutta la Toscana, e pertanto in tutto il mondo, esistano soltanto due aziende agricole, ancora impegnate nell’allevamento della razza Macchiaiola, la cui popolazione, nel 2005, si era ridotta fino a soli 5 esemplari (Nera, Delia, Befana, Priamo e Grifo), dispersi tra le province di Grosseto, Siena, Livorno e Pistoia. Fu questa fortunata sopravvivenza a permettere di avviare un importante progetto di recupero Vagal, valorizzazione genotipi animali autoctoni, grazie al quale il Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Firenze poté verificare la corrispondenza morfologica di questi 5 suini toscani con l’antica stirpe Macchiaiola e studiarne la genetica. Azienda Agricola Il Poggiolino In questo modo oggi, soltanto al Poggiolino, vivono tra i 150 e i 180 maiali macchiaioli, nutriti oltre che con i prodotti naturali del bosco, di fieno, frutta, verdura e barbabietole da foraggio, coltivati nell’azienda appositamente per loro. I maiali macchiaioli ricambiano così alimentazione curata ed ampi spazi, offrendo una carne di altissima qualità, tipica della propria razza, molto magra ma succulenta per la grande capacità di ritenzione idrica. Da sottolineare, sebbene quantitativamente limitata, l’eccellenza anche della parte grassa con l’alta percentuale di grassi insaturi e la presenza, nel giusto rapporto tra loro, dei grassi polinsaturi omega 3 e omega 6 che l’organismo umano non è in grado di sintetizzare e che pertanto deve assumere attraverso l’alimentazione. Così, allevata la migliore materia prima, gli agricoltori del Poggiolino hanno potuto dedicarsi alla produzione di veri e propri capolavori, frutto di un allevamento di nicchia ed eccellenza, apprezzato da molti ristoranti rinomati tra i quali Giulia ci rivela: La Cascina di Montecatini. Tra tali prodotti, saporito ma dolce nel retrogusto, ricordando in questo modo alcuni celebri salumi spagnoli, ma senza mai giungere a stuccare, spicca il prosciutto, la cui carne viene esaltata da due anni di cure prima di giungere in tavola, con odori mediterranei, quali nepitella, salvia, rosmarino e molti altri, ma in assenza di pepe o spezie orientali estranee alla tradizione locale. Anche la quantità di sale necessaria è minore di quella consueta perché il sapore della carne merita davvero di essere accompagnato e men che mai coperto. I salumi toscani arrivano dai boschi No, l’eccellenza dei salumi toscani non discende da maiali disneyani grassi e rosa ma da scrofe e verri simpatici e scuri, abituati a correre nei boschi; come anche e forse più da una tradizione antica, mantenuta in vita dall’impegno encomiabile dei nostri allevatori, ai quali, oltre ai migliori auguri nostri e certo di tutti i lettori di TuscanyPeople, ci permettiamo di dedicare questo articolo. TuscanyPeople cerca belle storie da raccontare. Qualunque cosa tu sia, Agricoltore, Artigiano, Imprenditore, Locandiere, Oste, Viticoltore, narraci la tua. Siamo curiosi Riproduzione Riservata © Copyright TuscanyPeople Share: Informazioni sull'autoreAlessio MarianiBlogger & Ambassador of Tuscany [fbcomments url="https://www.tuscanypeople.com/suini-toscani-macchiaiola-cinta-senese/" width="100%" count="on" num="3"]