Il vino bianco in Toscana rappresenta un lato poco conosciuto della tradizione vitivinicola locale, ma che in realtà nasconde radici antichissime e molte glorie dimenticate. Storia, curiosità e qualche suggerimento su quali vini bianchi toscani assaggiare, per scoprire un mondo che potrebbe facilmente lasciarvi a calice vuoto.

Vini bianchi toscani, il lato chiaro della forza

Con i suoi 60.000 ettari vitati, il 70% della sua estensione territoriale, la Toscana si conferma insieme al Piemonte la regione più rappresentativa nel panorama vitivinicolo italiano, sopratutto quando si tratta di vini di qualità nei quali storia e tradizione si sono sapute amalgamare sapientemente.

Non è un caso se vi troviamo 11 DOCG e ben 41 DOC, che insieme costituiscono il 69% del vino prodotto nella regione. I suoi vini sono spesso e a ragione blasonatissimi e famosi in tutto il mondo.

Questo è indubbio dando per scontato il riferimento ai grandi rossi toscani dietro ai quali tra l’altro sovente, si celano affascinanti contaminazioni, collaborazioni ma anche feroci competizioni tra alcune delle famiglie nobili più altisonanti, che rendono il mondo del vino rosso toscano e la sua storia particolarmente intrigante.

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Vernaccia di San Gimignano, la regina dei bianchi toscani

Ma a guardar bene, la Toscana ha molto altro da offrire. Qualcuno si sorprenderà nel sentir questa terra associata a vini bianchi che in realtà non hanno ormai nulla da invidiare ai vini rossi. Quella dei vini bianchi toscani è una tipologia che però, almeno finora, non è riuscita ad emergere con la stessa prepotenza dei grandi classici. Fa eccezione la Vernaccia di San Gimignano, unica DOCG toscana dedicata a un bianco e prima DOC italiana (dal 1966 e dl 1993 DOCG).

Il perché ha in parte a che fare con il prestigio ormai internazionale di bottiglie quali il Brunello di Montalcino DOCG e il Chianti Classico DOCG che da sole riescono a lasciare nell’ombra addirittura altri giganti rossi nostrani quali il Nobile di Montepulciano DOCG, il Morellino di Scansano DOCG e il Bolgheri DOC.

Grappolo d'uva per la Vernaccia di San Gimignano

Pensi Toscana, dici vino rosso

È vero anche che la nostra tradizione gastronomica è fatta di piatti molto terreni, ricchi di gusto ed elaborati, dove i sapori intensi degli ingredienti, l’utilizzo di spezie decise e la lunghezza dei tempi di cottura tendono naturalmente verso un abbinamento con vini dalle caratteristiche affini che solo alcuni rossi corposi e strutturati sanno offrire.

Eppure, qualcosa sta cambiando, la tendenza sta lentamente mutando e sono sempre di più gli amanti del vino che cercano bottiglie interessanti questa volta però nel mondo dei vini bianchi toscani. Come in fondo era da tradizione fino a tutto sommato relativamente poco tempo fa, ovvero fino al Rinascimento.

Il vino Chianti trionfa sui social piazzandosi al 2° posto nella classifica dei vini, con 117.459 mention, preceduto dal Prosecco

Storia dei vini bianchi toscani

Non tutti sanno che fino al XVI secolo la maggior parte del vino prodotto in Toscana, e non solo, non era rosso ma bensì bianco. Inoltre sempre bianca era la tipologia più pregiata e apprezzata, richiestissima anche da tutto l’Oltralpe; secondo alcune fonti era addirittura la preferita da sua maestà Re Federico II di Francia.

È l’enciclopedico Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) a parlarci per primo del vinum trebulanum, conosciuto oggi da tutti come Trebbiano, classico vitigno toscano – e non solo – a bacca bianca. Nel 1282 i negozianti di vini si costituirono nella corporazione dell’Arte dei Vinattieri; sono di questo periodo le prime menzioni di vitigni ancora soprattutto a bacca bianca quali le Malvasie e il Greco, nonché il già citato Trebbiano.

Il Biodistretto del Chianti è un'area geografica votata alla produzione di vini biologici e occupa il 30% di tutta la superficie agricola coltivata.

Sante Lancerio, primo sommelier d’Italia

Interessante notare che ancora il Sangiovese non compare su nessun documento. È del ‘400 il primo riferimento al Sangiovese che si riscontra in una lettera inviata dal proprietario di Vignamaggio ad un mercante senese. E comunque, ancora nel ‘500, tra i 53 vini letteralmente recensiti da Sante Lancerio, cantiniere di Papa Paolo III e probabilmente primo Sommelier della storia, il riconoscimento di alcune delle eccellenze vitivinicole toscane va alla Vernaccia di San Gimignano e agli inimitabili moscatelli di Porto Ercole

Una curiosità: si devono a Sante terminologie descrittive tuttora utilizzate in degustazione quali “corposo” e “rotondo“.

Infine, nel “Bacco in Toscana” pubblicato da Francesco Redi nel 1685, è possibile ritrovare ulteriori valutazioni sui vini bianchi di spicco della regione. È proprio lui a scrivere: “Lodato, celebrato, coronato sia l’eroe che nelle vigne di Petraja e di Castello piantò per prima il Moscadello […] del leggiadretto, del sì divino Moscadello di Montalcino talor per scherzo ne chieggio un nappo, ma non incappo a berne il terzo; egli è un vin ch’è tutto grazia“.

Per approfondire: Boom Toscana del vino: Sassicaia 2015 è on top of the world per Wine Spectator

Calice di vino bianco davanti alla campagna toscana

Quando il vino diventa una bevanda di lusso: lo scacco matto

Ciò che accade tra il ‘500 e il ‘700 è, come si suol dire, storia. Il vino diventa una bevanda di lusso e di puro piacere, smerciato alle sfarzose feste rinascimentali e agli immancabili banchetti delle corti nobili, acquistabile in quantità presso i palazzi degli aristocratici, i principali produttori.

Non dimentichiamoci che il vino per secoli è stato, prima che una bevanda di piacere, un vero e proprio alimento. Veniva prescritto nella razione alimentare giornaliera di uomini, donne e bambini, addirittura negli orfanotrofi. Il vino infatti offriva un contributo nutritivo molto importante nella povera dieta del popolo; era inoltre più salubre dell’acqua essendo spesso cotto sul fuoco per addensarlo e sanificarlo.

Mosto di uve bianche nel torchio

Il vino diventa un business

È in questo periodo, in pieno stallo del commercio dei cereali che la viticoltura aumenta la sua produzione. L’espansione dei mercati verso mete più lontane richiede una maggiore capacità di resistenza del vino e l’aumento della concorrenza richiede una qualità maggiore. La longevità del vino diventa necessità primaria, grande problema della maggior parte dei bianchi, meno carichi sia di tannini che di alcol, entrambi ‘conservanti’ naturali.

Il vino insomma diventa un business e come tale inizia a seguirne tutte le regole. Alla quantità si preferisce la qualità, alla pronta beva la capacità di invecchiamento ed evoluzione, alla freschezza la corposità, alla tradizione l’innovazione.

Uomo di fronte a bottiglie di vini del senese

Dagli storici vini bianchi toscani ai rossi moderni

Altri eventi si susseguono e segnano inesorabilmente la disfatta dei vini bianchi toscani. La fondazione dell’Accademia dei Georgofili e il primo editto redatto da Cosimo III de’ Medici che sancisce le basi delle prime DOC e poi DOCG della storia principalmente votate ai vitigni a bacca nera, la prima ricetta del Chianti a firma Bettino Ricasoli che riuscì ad ottenere un vino da pasto gradevole apprezzato ampiamente dai consumatori.

Infine lo sguardo sempre più curioso rivolto alla Francia e che porta negli anni ’60 tra gli altri gli Incisa della Rocchetta prima e gli Antinori poi a riscoprire i vitigni a bacca nera così detti internazionali: Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, da secoli presenti sul territorio ma fino ad allora pressoché ignorati, porteranno a due leggende: Il Sassicaia e il Tignanello. I venti della storia dunque non hanno spirato a favore dei bianchi, ma per quanto in maniera certamente più discreta la loro tradizione non solo non è cessata ma è in ottima salute, ed eccoci quindi finalmente alla scoperta dei migliori vini bianchi toscani.

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La DOC di Bolgheri è oggi una delle Denominazioni di Origine più importanti della Toscana, grazie anche al lavoro delle aziende biodinamiche.

I vitigni dei vini bianchi di Toscana

In Toscana si coltivano: vitigni a bacca bianca, ampiamente utilizzati nei secoli scorsi per ottenere vini bianchi a tendenza dolce, quali la Malvasia del Chianti e il Moscato bianco; altre varietà autoctone, alcune delle quali la Vernaccia, il Vermentino, l’Ansonica, il Trebbiano toscano (che da solo costituisce il 6,5% del totale di uva coltivata in Toscana) note ai più; in minor quantità, le meno conosciute Canaiolo bianco, Malvasia bianca lunga, Grechetto, Verdello e Albaraola. Queste varietà sono tutte pressoché utilizzate per l’ottenimento di vini bianchi toscani fermi, freschi, secchi; fanno eccezione per esempio il Vin Santo e il Moscadello di Montalcino vendemmia tardiva che, benché bianchi, sono classificati come vini passiti, quindi dolci, una categoria alla quale dedicheremo un articolo ad hoc.

Tra i cosiddetti vitigni internazionali troviamo sopratutto il Sauvignon blanc e lo Chardonnay, questo affermatosi senza indugio negli ultimi anni e che sempre più spesso si paga a caro prezzo, costituendo uno dei vini bianchi toscani più cari; nicchie di qualche filare di Riesling italico, Pinot bianco, Semillion, Sauvignon Gris, Roussanne e Viognier chiudono la carrellata.

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Grappoli di Sauvignon blanc

Vino bianco toscano DOCG

Tra i vini bianchi toscani, l’unica DOCG è la Vernaccia di San Gimignano – prodotta da circa 500 cantine – vino storicamente poco entusiasmante; negli ultimi tempi la sua qualità è oggettivamente migliorata e questo anche grazie a tecnologie più moderne e meno tradizionali.

Se la trovate osate una riserva: la Vernaccia è uno dei pochi vitigni italiani a bacca bianca capace di sostenere il peso del tempo.

La Vernaccia di San Gimignano è uno de vini bianchi toscani con la DOCG. Famosa già dal tempo dei Medici, ve ne consigliamo alcune etichette

Vini bianchi toscani DOC

Sono invece 11 le DOC che comprendono anche vini bianchi toscani fermi (con qualche slancio di spumantizzazione). Tra queste le più importanti sono l’Ansonica Costa dell’Argentario (vini a base Ansonica per un minimo di 85%); il Bianco di Pitigliano anche in tipologia Superiore (DOC dove tra gli altri possono essere inclusi insieme al Trebbiano toscano fino ad un massimo di un 60% di vitigni poco rappresentati quali il Grechetto piuttosto che il Viogner); il Bolgheri (Vermentino e Sauvignon Blanc); la Colli di Luni (Vermentino, Trebbiano e Albarola); il Candia dei Colli Apuani (forse il miglior Vermentino toscano?); Pomino DOC (siamo vicini al Chianti Rufina eppure troviamo un Semillion di tutto rispetto).

Le altre DOC sono poi la Parrina, il Montescudaio, il Monteregio di Massa Marittima, la Colline Lucchesi, il Montecarlo (dove troviamo tra gli altri vitigni il Roussanne, coltivato pressoché soltanto qui).

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La Vernaccia di San Gimignano è uno de vini bianchi toscani con la DOCG. Famosa già dal tempo dei Medici, ve ne consigliamo alcune etichette

Quali vini bianchi toscani comprare? Due cantine per cominciare

Per iniziare a farvi scoprire i vini bianchi toscani, abbiamo scelto due delle centinaia di cantine che costellano il territorio toscano. Ci hanno colpito per la produzione di bianchi di rottura rispetto ai vini più tradizionali, già in parte menzionati e di facile reperibilità.

Fattoria di Montemaggio

Situata a 600 metri s.l.m., in pieno Chianti Classico, Montemaggio è un’azienda biologica a conduzione familiare. Qui è la passione dei proprietari a far da padrona; gli acini infatti vengono non solo raccolti, ma anche selezionati a mano dopo la diraspatura. E questo vale per qualsiasi tipologia di vino da loro prodotta.

Grazie alla briosità dell’enologa Ilaria e alla sua capacità di sperimentazione, è possibile trovare perle anche tra i vitigni a bacca nera, tra cui il Pugnitello. Inoltre sono presenti ottime grappe da vinacce dell’azienda, ma distillate in Piemonte da una delle più famose distillerie d’Italia. È però il loro Chardonnay a valere il viaggio sullo sterrato che conduce alla fattoria, tra le altre cose di una bellezza folgorante.

Bottiglia di Chardonnay di Montemaggio

Burroso, bilanciato, di buona acidità, è caratterizzato da una fermentazione in parte in acciaio e in parte legno (tonneaux da 500 lt o barriques da 225). Viene poi filtrato e travasato nuovamente in legno fino all’imbottigliamento primaverile. Una nota adorabile: il tappo dello Chardonnay di Montemaggio è in vetro, di misura universale, può essere riutilizzato all’infinito.

Fattoria di Petreto

Siamo in tutt’altra zona, in pieno Chianti Colli Fiorentini direzione sud-est, non distanti dal celebre Chianti Rufina. Siamo a soli 110 metri s.l.m. e l’azienda prende il suo nome dalla natura sassosa dei suoi terreni. La fattoria si è fatta conoscere grazie alla produzione di un vino botrizzato, alla Sauternes, atto coraggioso che ha ripagato la visione lungimirante dell’agronomo Alessandro Fonseca e dell’enologo Nicolò d’Afflitto.

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Bottiglia di Pourriture della Fattoria di Petreto

Era il 1991 e fu il primo a produrre in Toscana un vino attaccato dalla muffa nobile, la Botritys Cinerea. Rimanendo però come promesso sui bianchi fermi, una bottiglia di particolare interesse è il loro Podere Sassaie. Il vino si ottiene, da un blend di uve tradizionalmente coltivate in Francia: Semillion, Sauvignon blanc, Sauvignon Gris, Chenin Blanc e Riesling. Vino intenso, elegante e di carattere, ha un fin di bocca lungo e minerale; ottima la capacità di invecchiamento, raggiunge la sua massima espressione dopo 4 anni dalla vendemmia. Fermentazione in acciaio per circa 20-25 giorni, affinamento in acciaio di circa 6 mesi.


Foto: Chardonnay Montemaggio ©FattoriaMontemaggio | Pourriture Noble ©FattoriaDiPetreto

Informazioni sull'autore

Martina Tanganelli
Wine blogger and Ambassador of Tuscany
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