Il vino italiano, dalla fine degli Anni ’80 ad oggi, si è completamente rinnovato. Si può parlare di una vera e propria rivoluzione che vede coinvolte tutte le regioni della penisola che con le loro caratteristiche e peculiarità, creano prodotti unici e ricercati, in grado di veicolare cultura e antiche tradizioni italiane in tutto il globo.

Vino italiano, storie di terra e di uomini

Il vino italiano, negli ultimi 30 anni, ha vissuto una grande rivoluzione in positivo. A poco a poco ha scoperto i propri punti di forza e le proprie singolarità, e dopo aver raggiunto il top con le due regioni più importanti dal punto di vista enologico, Toscana e Piemonte, da un po’ di tempo è in grado di esportare in tutto il mondo la sua immensa ricchezza vitivinicola, che spazia dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, forte non solo dell’inconfondibile espressione dei suoi vitigni, ma anche, e soprattutto, della tradizione, della cultura, degli uomini e della terra che ad essi sono legati.

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

Più di 3.000 vitigni autoctoni

D’altronde la biodiversità e il patrimonio genetico degli uvaggi italiani non temono confronti. La nostra penisola, grazie alla sua estensione e alla forma allungata che si situa tra il 45° e il 38° parallelo, occupa una posizione privilegiata che offre grandi potenzialità agricole. Probabilmente più che di terroir, come in Francia, nel nostro caso è più corretto parlare di tipicità, se si fa eccezione per la Toscana e le sue grandi zone del vino – Bolgheri, Carmignano, Chianti e Chianti Classico, Montalcino, Montepulciano, San Gimignano – e per il Piemonte, col Barolo e il Barbaresco, dove si è avuto un importante lavoro a livello di cru e di singoli vigneti.

Nelle restanti parti d’Italia, invece, il concetto di tipicità – in altre parole le caratteristiche peculiari del vino che rispecchiano la varietà dell’uva – è forse più adatto. C’è infatti un aspetto della nostra viticoltura che nessun altro può vantare: la straordinaria ricchezza varietale. Uno dei fondamentali fattori della nostra competitività è il vastissimo patrimonio genetico.

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

In Italia esistono migliaia di vitigni indigeni. Sono quasi 400 quelli usati per il vino da commercio, ma oltre 3.000 quelli autoctoni non catalogati. E ogni vitigno è come una voce che parla del proprio territorio, in modo simile ai dialetti. Questo ci distingue e ci rende unici al mondo.

Italiani e vino

Ma è solo questo? No. Perché molti parametri fondamentali stanno cambiando velocemente. E in meglio. Tanto che, dati alla mano, si può dire che il vino italiano stia alla grande sotto diversi profili. Anzi, alla grandissima.

Diciamolo subito, il vino è un elemento imprescindibile nel nostro stile di vita, noi di TuscanyPeople ne siamo ossessionati, ed è parte integrante della nostra dieta quotidiana (leggi il tour a Cantine Aperte 2017 di TuscanyPeople). Il Censis – nel rapporto su “Il valore economico e sociale del settore del vino e dei suoi protagonisti” presentato a Roma il 17 maggio 2017 all’assemblea annuale di Federvini alle scuderie di Palazzo Altieri – ci dice che nel 2016, il 51,7% della popolazione italiana ha consumato vino, ma è dal 1983 a oggi che la quota rimane costante sopra il 50%.

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

È invece in calo la quota dei grandi consumatori – ossia di chi beve oltre mezzo litro al giorno – che si attesta sul 2,3% del totale. L’approccio è quindi radicalmente mutato. Per rimanere sulle percentuali, che sono un po’ aride e schematiche, ma che danno un’idea precisa e d’impatto, lo scorso anno più di 28 milioni di italiani hanno consumato vino. Il 54,6% degli over 65; il 58,4% di coloro che vanno dai 35 ai 64 anni; e il 48,6% dei millennials, i giovani fra i 18 e i 34 anni. Nient’affatto male.

Millennials e vino italiano

Sempre il Censis sottolinea, ad esempio, come i millennials siano sempre più orientati a un consumo consapevole e di qualità. Infatti il 93,2% dei consumatori indica la qualità, più che il prezzo, come criterio prevalente di scelta e acquisto di una bottiglia. E in particolare il 52,3% sceglie solo sulla base di questo elemento.

Il primo criterio di scelta dei millennials italiani (51%) è la tipologia di vino, mentre la notorietà del brand rimane marginale e si attesta al 10%. Quanto al prezzo, l’importanza del prezzo basso o promozionale è piuttosto scarsa in Italia (11%) contro una percentuale più alta negli USA (20%). Il che significa che i giovani italiani sono più disposti a spendere cifre alte per vini di qualità rispetto a prima. Altro buon segnale di crescita.

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

Un’indagine condotta da Episteme sui trend che caratterizzano i consumi di vino fra millennials statunitensi, italiani e giapponesi rivela che, in termini di spesa, nel 2015 questa categoria ha investito più in prodotti legati al vino rispetto ad altre. Nell’insieme ha superato la generazione precedente nel consumo di vino, sviluppando allo stesso tempo una cultura enologica più raffinata e matura.

Il “fattore D”

Un altro dato significativo è il “fattore D”: il vino, considerato da sempre un prodotto tipicamente maschile, impatta nell’universo femminile che diventa protagonista nel consumo di alcolici in ogni mercato analizzato. Tra i millennials, le donne sorpassano addirittura gli uomini nel consumo di prodotti vinicoli: l’indagine le descrive determinate, proattive, intenditrici e orientatrici d’acquisto.

Inoltre l’insicurezza causata da un futuro incerto, o comunque da una situazione sociale più fluida e cangiante, incide in modo fondamentale sullo stile di consumo. In particolare, in Italia, il vino per i millennials è un modo per appropriarsi di quell’essere adulti che le condizioni economiche precarie tendono ad allontanare.

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

Quanto alla spesa per il vino, ecco un’altra inversione di tendenza in positivo rispetto ai costanti cali precedenti allineati con quelli del settore alimentare nel suo complesso: fra il 2013 e il 2015 è salita del 9% a fronte di un aumento dello 0,5% per quella generale. E su base individuale il divario è addirittura più ampio: ogni italiano l’ha aumentata dell’8,1% a fronte di una spending review generale che incide in negativo dell’0,3%.

Vini italiani DOC e DOCG

Un ulteriore dato eccezionale è senz’altro il fatto che il 45% dei vini italiani rientri nella denominazione DOC e DOCG: 332 vini sotto il marchio di denominazione di origine controllata e 73 vini sotto quello di denominazione di origine controllata e garantita.

Ricordiamo che un vino a denominazione d’origine controllata (DOC) è un vino di alta qualità che rispetta severi parametri di produzione che vanno dalla zona geografica di riferimento ai vitigni; dalla tipologia di terreno di coltivazione alle tecnologie di produzione ed invecchiamento, così da poter garantire caratteristiche di elevata qualità del prodotto.

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Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

L’acidità e le caratteristiche organolettiche, la gradazione alcolica minima, sono scrupolosamente monitorate e rispettano criteri stabiliti da un Decreto Ministeriale. L’etichetta DOCG invece si attribuisce a vini di particolare pregio che da almeno 5 anni sono classificati come DOC e che provengono da una zona geografica ben definita.

Le 5 regioni che vantano la maggior produzione di DOC e DOCG

1° Piemonte: 16 DOCG, 42 DOC (cinque bottiglie su sei di vino piemontese sono etichettate come DOC).

2° Toscana: 11 DOCG, 41 DOC, tra cui ricordiamo le aree più importanti, il Chianti Classico; Montalcino, col suo Brunello; Bogheri, coi suoi incredibili supertuscan; Montepulciano, col Nobile; Carmignano; e San Gimignano con la Vernaccia.

3° Veneto: (14 DOCG, 27 DOC, 16 Strade del Vino fra cui la Strada dei Vini DOC Lison-Pramaggiore e la Strada del Valpolicella).

4° Puglia: 4 DOCG, 28 DOC.

5° Lazio: 3 DOCG 27 DOC

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

Ma come facciamo a capirci qualcosa nell’incredibile varietà di produzione del vino italiano? Be’ qui ci sono una decina di nomi affidabilissimi – formatisi soprattutto negli ultimi 20-30 anni sulla scia della vertiginosa ascesa del vino nostrano – che possono consigliarvi gli acquisti grazie alla loro grande e comprovata competenza.

Le migliori guide al vino italiano

Slow Wine di Slow Food

È la guida ai vini più venduta in Italia, realizzata grazie al lavoro di 200 collaboratori.

I Vini d’Italia de L’Espresso

L’edizione 2017 della Guida I Vini d’Italia de L’Espresso, è pensata non più per i soli addetti ai lavori, ma per un pubblico più eterogeneo, per “l’appassionato curioso e il consumatore avveduto”.

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

Annuario dei migliori vini italiani – Luca Maroni

Giunto alla 24esima edizione, l’Annuario dei migliori vini italiani di Luca Maroni parte dal vino per allargarsi all’analisi dell’azienda e della sua produzione complessiva. Luca Maroni è una tra le firme più autorevoli dell’enologia italiana.

I Vini di Veronelli – Seminario Permanente Luigi Veronelli

La Guida Oro I Vini di Veronelli è considerata la prima guida ai vini italiana. Nell’edizione 2017 raccoglie 16.252 vini con segnalazione del cru, dell’elevazione, delle annate consigliate, del numero di bottiglie prodotte e del prezzo, assieme a 2.049 produttori ordinati per regione e per comune.

Bibenda – Fondazione Italiana Sommelier

Dopo il grande successo dello scorso anno (700.000 copie consegnate e 2 milioni inviate in digitale), l’edizione 2017 si arricchisce ancora di più con la nuova rivista.

Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

Guida essenziale ai Vini d’Italia – Daniele Cernilli

Daniele Cernilli, alias DoctorWine, e la sua Guida Essenziale ai Vini d’Italia, vanta 979 cantine selezionate, 2.436 vini recensiti, 220 “faccini” di DoctorWine a segnalare i migliori vini degustati, 11 Premi Speciali e 90 cantine premiate con 3 stelle

ViniBuoni d’Italia – Touring Club Italiano

Un ritratto del made in Italy del vino, un quadro della storia enologica italiana, un affresco unico nel suo genere.

Vini d’Italia – Gambero Rosso

La guida Vini d’Italia del Gambero Rosso è sicuramente quella più diffusa e conosciuta a livello internazionale. Tutte le cantine, oramai, ambiscono a ottenere la massima votazione in bicchieri, ma solo 429 quest’anno ce l’hanno fatta. La guida contiene anche schede di 2.400 produttori e 22.000 vini degustati.

Vitae – AIS (Associazione Italiana Sommelier)

La terza edizione della guida Vitae dell’Associazione Italiana Sommelier ha come tema iconografico la fotografia, intesa come istantanea della degustazione. La Freccia di Cupido, per i vini di cui è facile innamorarsi al primo sorso, il Salvadanaio, che testimonia il valore aggiunto dato dal prezzo accessibile e dalla capacità di esprimere a pieno il territorio da cui proviene.

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Negli ultimi 30 anni il vino italiano ha vissuto una rivoluzione eccezionale, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto.

La produzione di vino italiano

A parziale completamento del nostro excursus sulla salute del vino italiano, che a questo punto possiamo definire floridissima, portiamo alla vostra attenzione un ultimo dato: l’Italia è il primo produttore al mondo di vino, nel 2016 ha prodotto 50,9 milioni di ettolitri di vino, superando ormai da un paio d’anno la stessa Francia, oltre alla Spagna, alla Germania e al Portogallo. Ancora niente male. Proprio niente male.

 

Possiamo quindi concludere che ce n’è ben donde per stare allegri, e semmai il nostro augurio finale è che il settore dell’agroalimentare in generale, e in particolare l’olio con le sue nuove DOP e IGP, i caseifici con le loro nuova DOP e le torrefazioni di Caffè d’impasti dolciari o infusi seguano sempre più la strada intrapresa dal vino da qualche decennio ottenendo, attraverso la stessa costanza, dedizione, e infaticabile ricerca della qualità, gli stessi eccellenti risultati.

 

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