31 Gennaio 2022 2022-03-04T12:56:24+01:00 La Toscana oltre il Sangiovese TuscanyPeople Martina Tanganelli Share: Guida ai principali vitigni autoctoni toscani oltre il sangiovese, re indiscusso dei 60mila ettari vitati della regione I vitigni toscani autoctoni oltre il sangiovese Di cosa parliamo in questo articolo: Il Rinascimento dei vitigni autoctoni toscani meno conosciutiFoglia TondaColorinoPugnitelloAleaticoPolleraVermentino NeroUva MerlaDurellaMorellino del Casentino Comunemente chiamati minori, i vitigni autoctoni toscani stanno tornando alla ribalta con forza. Ecco alcune curiosità e zone di produzione di uve toscane meno note delle quali sentirete sempre più parlare. Il Rinascimento dei vitigni autoctoni toscani meno conosciuti Terra votata alla coltura della vite da tempo immemore, la Toscana vanta un patrimonio estremamente ricco e variegato di vitigni autoctoni. Se è vero infatti che il 65% dei 60 mila ettari vitati sono occupati dal re di tutti i vitigni, il sangiovese, è anche vero che con forza sempre maggiore si fa sentire anche la presenza di quelli che sono considerati i suoi fratelli minori. In questo e nel prossimo articolo scopriremo alcune delle varietà più interessanti, complete di caratteristiche e curiosità e non mancheranno i consueti suggerimenti su cosa assaggiare. Avete voglia di qualcosa di diverso? Seguiteci in questo viaggio alla scoperta dei vitigni autoctoni toscani oltre il sangiovese, siamo certi che non ve ne pentirete. Foglia Tonda Iniziamo il nostro viaggio alla scoperta dei vitigni autoctoni toscani meno noti con una varietà dal nome emblematico: il foglia tonda. Antico vitigno quasi scomparso – oggi ne rimangono soltanto 20 ettari in tutta la Toscana – ha come caratteristica foglie grandi e tonde dalle quali prende il suo nome. Dai grappoli molto compatti, è particolarmente soggetto a malattie, muffe in particolare. Dà vini di carattere, dai profumi intriganti di frutti selvatici e fiori e dal rosso molto intenso tendente al blu. Noto proprio per la sua forza cromatica, se volete assaggiarlo in purezza provate la versione dell’Azienda biologica Mocine, nel senese. Si chiama S’Indora ed è un vino elegante e speziato, pieno e ben maturo. Colorino Che il colorino sia un’uva antichissima in Toscana lo si deduce sin da subito, basta osservarne il grappolo: piccolo, con bacche simile a quelle selvatiche, dalla buccia molto spessa. Vitigno interessante, in passato veniva usato per caricare di pigmenti mosti cromaticamente scarichi. Oggi chi ancora lo coltiva riesce a ottenere vini profumati di fiori e frutta, dal tannino più gentile e vellutato del sangiovese ma comunque corposi e strutturati. Non particolarmente incline all’invecchiamento, si tratta di vini beverini, freschi, leggeri. In provincia di Siena l’Azienda biologica Montenidoli lo vinifica in purezza. Dal classico rosso carico, leggermente speziato per via di un passaggio in barrique, è delicato ed elegante, morbido ed equilibrato. Perfetto per un tipico antipasto toscano. Pugnitello Tra i vitigni autoctoni toscani, questo è sicuramente uno dei più difficili da coltivare a causa della sensibilità al marciume e della bassissima produttività. Trae il suo nome dai grappoli tipicamente molto piccoli e dalla forma di un pugno. Presente in molte IGP toscane, non sappiamo molto sulle sue origini per quanto, secondo alcuni studi, potrebbe essere imparentato con il Montepulciano d’Abruzzo. Se trattato in purezza il pugnitello dà origine a vini potenti, sia di colore che di struttura, ma non necessariamente eleganti. Il suo essere grossolano può essere in parte smussato da un invecchiamento in legno, avendo una spalla acida che permette, volendo, anche l’uso di legno nuovo. Al naso ha piacevoli profumi di frutti rossi maturi e di mora, è leggermente erbaceo e con qualche rimando più animale, selvatico. A metà strada tra Firenze e Lucca, la cantina biologica Dalle Nostre Mani produce il pugnitello in purezza decidendo di non utilizzare il legno così da far emergere le sue distintive note varietali. Aleatico Per quanto in Toscana nella sua forma passita lo si associ indiscutibilmente all’Isola d’Elba, e dunque per noi abitanti non suoni per nulla come vitigno minore, la verità è che l’aleatico è una varietà d’uva che ha rischiato l’estinzione. Oggi lo si trova coltivato prettamente sulle isole dell’Arcipelago toscano e nel grossetano. Uva profumata e dolcissima – i cinghiali e i daini ne vanno golosi! -, oltre alla tipologia da dessert regala notevoli soddisfazioni anche a chi ne ottiene un ottimo vino rosso da pasto. Regge l’invecchiamento in legno, e alcune cantine a questo proposito usano ancora le vecchie botti toscane di castagno. L’aleatico dell’Azienda biologica Gualandi di Montespertoli, è fatto proprio così. Vino molto interessante, molto toscano. Pollera Dalle caratteristiche simili al nebbiolo – povero in antociani, ricco di polifenoli, una bella acidità e alcolicità – il pollera è un vitigno autoctono toscano la cui fermentazione non è semplice. Potrebbe essere questo il motivo principale che l’ha portato ad essere ormai coltivato solo in Lunigiana dove è presente con pochi migliaia di ceppi. La buccia è sottile, dunque sono necessari frequenti rimontaggi e delestage, similmente al pinot nero. L’invecchiamento è possibile, ma il basso contenuto di antociani impone continui controlli. Se vinificato in rosso ha intensi profumi di frutta matura, marasca, amarena e caffè, sostenuti da una buona acidità. Ottima la tipologia passito e interessante anche quando vinificato in bianco. In quest’ultimo caso è dove esce tutta la sua salinità marina, la frutta bianca. Prodotto in provincia di Massa Carrara, il Pollera bio dell’Azienda Monastero dei Frati Bianchi è un vino dirompente con la sua eleganza, finezza e profondità. Vermentino Nero Tipico di questo vitigno autoctono toscano riscoperto da alcuni viticoltori lungimiranti negli anni ’80, è la sua nota speziata al pepe nero. Siamo ancora in quella Toscana di confine con la Liguria dove una volta il vermentino nero era molto comune. Dalla buccia sottile, pone notevoli problematiche nelle stagioni particolarmente piovose dove parte del raccolto rischia di essere perduto a causa delle muffe. È fragrante, fresco, fruttato nella tipologia rossa, interessante anche in bianco, ma se lo trovate, assaggiatelo vinificato in rosa, dove viene esaltata tutta la sua mediterraneità di profumi. Vino tendenzialmente poco strutturato e magro, di poco corpo, ha scarsa affinità con il legno. La cantina biodinamica Terenzuola, a cavallo tra Toscana e Liguria, ha recuperato vigne antiche triplicandone la densità, così da ottenere piante più competitive, naturalmente forti e vigorose. Notevole la versatilità di questa bottiglia in termini di abbinamento. Uva Merla Storica spalla di Monsignor il sangiovese perché molto spesso lo si utilizza nello stesso Chianti per ammorbidirne i toni, l’uva merla – alias canaiolo nero – si sta lentamente facendo strada da sola. Impresa non da poco, essendo il suo territorio maggiormente vocato anche il più competitivo. Non tutti sanno, ancora, infatti, che il canaiolo nero, per quanto semplice, da origini a un vino tutt’altro che banale. Corredi di frutti di bosco freschi – per lo più scuri – e spezie, i suoi sorsi sono pieni e succosi. E ancora per lo più sconosciuta è la sua versione passita, senz’altro da provare. Frutti di bosco in confettura, accenni di zucchero a velo, agrumi canditi e finale leggermente balsamico. Ottimo da solo così come accompagnato dai dolci della tradizione toscana. La Querce è una cantina in pieno Chianti Colli Fiorentini dove l’attenzione all’ambiente è prioritaria. Dama Rosa è il loro passito 100% canaiolo, vino ampio dal lungo invecchiamento in barrique. Speciale con i dessert a base di cioccolata. Durella Si narra siano rimaste soltanto 10 aziende a coltivare il durella gentile, vitigno autoctono toscano che poco avrebbe a che vedere con il durella dei Monti Lessini in Veneto. Vitigno a bacca bianca, in Toscana è presente esclusivamente sulla costa tra Lucca e Massa. Dalla buccia molto tenace – forse queste le origini del suo nome – è soggetto a rifermentazioni in bottiglia se non si pone la giusta attenzione durante le prime battute in cantina. Ha una certa tannicità, pur essendo a bacca bianca. Spesso degustandolo si può essere tratti in inganno immaginando un passaggio in legno. La Fattoria Ruschi Noceti di Pontremoli ne propone una versione che arriva direttamente dal Vigneto Collezione, dove si proteggono e rivalutano vitigni della tradizione lunigianese. Risultato di una vendemmia tardiva – da qui il nome del vino, Otto Ottobre – lo caratterizzano sentori di miele d’acacia, nocciola, pesca matura ed erbe aromatiche, per un profilo ricco ma mai barocco. Morellino del Casentino Stretto parente del sangiovese, ritenuto un vitigno toscano autoctono della zona del Casentino, oggi lo si trova anche nel grossetano ma non è da confondersi con il ben più noto Morellino. Questo vitigno toscanissimo è anche chiamato morellone, a ben distinguerlo dal cugino maremmano. Presente benché rarissimo anche nella zona del Chianti, è piuttosto affabile in termini di coltivazione ma la sua elevata acidità, soprattutto evidente in annate più fresche, lo rende ostico da vinificare in purezza. Difficilissimo da reperire, noi ci siamo riusciti. Il Consiglio per la Ricerca e l’Economia Agraria, il CREA, ne ha prodotto alcune bottiglie ottenendo un vino di colore scurissimo, quasi impenetrabile, con un naso intenso di verde e di vegetale, mentre in bocca, oltre all’elevato tannino, si rivela compatto, con vaghe note di frutta. Care/i lettrici/lettori, avevate mai sentito parlare di questi vitigni autoctoni toscani? Se l’articolo vi ha incuriosito fatecelo sapere lasciando un commento su Instagram o Facebook e seguiteci nel prossimo capitolo dedicato all’argomento. Nel frattempo, buone degustazioni e ancora buon anno! 📍 PER APPROFONDIRE: La Toscana oltre il Sangiovese – Parte 2I vitigni autoctoni complementari della Fattoria di Fiano di Ugo BingA lezione dal Prof. Corino: la scienza al servizio del vino naturale tramite la biodiversità La Toscana è la tua passione? Anche la nostra! 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