Cos’è il marketing delle emozioni, e perché oggi è sempre più importante per i brand parlare al cuore di prospect e customer?

Marketing delle emozioni: la parte più coinvolgente di un brand

Di cosa parliamo in questo articolo:

  • I nostri acquisti sono frutto di scelte razionali o emozionali?
  • L’esperimento Pepsi/Coca-Cola del 1975 e il neuromarketing del 2003
  • Dalla pubblicità martellante al marketing delle emozioni
  • Quando parliamo di emozioni alludiamo alla sfera sociale ed emozionale
  • Quando scegliamo un prodotto in realtà scegliamo noi stessi
  • TuscanyPeople è storytelling emozionale da sempre

“Il mondo è cambiato. Lo sento nell’acqua, lo sento nella terra, lo avverto nell’aria”, dice Galadriel, la strega elfa, all’inizio del primo film della saga de “Il Signore degli anelli”. Parafrasando le sue parole, noi potremmo affermare: il marketing è cambiato, lo si percepisce dalle emozioni dei consumatori, dalle loro reazioni, dalle scelte finali d’acquisto.

D’altronde non a caso ho scelto una citazione dal capolavoro di Tolkien che rappresenta la perfetta summa di come dovrebbe essere scritta una storia (anche quella di un brand) per risultare coinvolgente e creare engagement nel possibile acquirente.

Nel presente articolo infatti parleremo di marketing delle emozioni, ovvero come un brand possa creare emozione nel prospect, di conseguenza empatia, di conseguenza identificazione, che a sua volta genera la determinante spinta all’acquisto; e in ultimo di come tutto ciò possa essere favorito da TuscanyPeople che fa della scrittura emozionale e appassionante un suo cavallo di battaglia da sempre.

Rappresentazione, tramite smile su post it, di emozioni da negativo a positivo

I nostri acquisti sono frutto di scelte razionali o emozionali?

In teoria le nostre scelte di acquisto dovrebbero dipendere in massimo grado dal nostro lato razionale. Per esempio: ho bisogno di un nuovo frigorifero, per cui comprerò il migliore possibile per le mie necessità e per lo spazio di cui dispongo in casa. La realtà è però ben diversa, perché molti diversi studi hanno dimostrato che la parte del leone la recitano le emozioni.

Nella maggioranza dei casi, infatti, sono proprio le emozioni a spingerci al movimento, all’azione. Le emozioniriguardano delle azioni che avvengono all’interno del corpo, nei muscoli, nel cuore, nei polmoni, nelle reazioni endocrine”; i sentimenti rappresentano invece “l’esperienza mentale che abbiamo di ciò che avviene nel corpo”, spiega il neuroscienziato António Damásio. Le prime, dunque, sono istintive, innate e spesso difficili da controllare, motivo per cui tendono a condizionare e a modellare i nostri atteggiamenti, i comportamenti e i nostri modi di ragionare, in maniera spesso inconsapevole. Non di rado, in effetti, compiamo scelte d’istinto (i cosiddetti acquisti d’impulso), poco ponderate, su cui magari ragioniamo soltanto a posteriori.

Dan Hill, autore del libro “Emotionomics: Leveraging emotions for business success“, ha individuato 6 emozioni chiave che interferiscono con le nostre decisioni: la felicità, la sorpresa, la rabbia, il disgusto, la tristezza e la paura. Da questo, l’importanza per le aziende di adattare le proprie strategie di comunicazione a siffatto paradigma, considerando in particolar modo l’utilizzo delle tecniche di lettura delle espressioni facciali per il riconoscimento delle diverse emozioni provate non solo dai consumatori – di cui si intende analizzare la loro reazione agli stimoli di marketing –, ma anche dai dipendenti a dei cambiamenti interni, come quelli di ruolo, nella struttura organizzativa, o di leadership.

Concetto di brand storytelling legata al concetto di tecnologia mobile

L’esperimento Pepsi / Coca-Cola del 1975 e l’esperimento di neuromarketing del 2003

Nel 1975 la Pepsi Company avviò una ricerca di mercato per provare a spodestare la Coca-Cola dal primato dei soft drink. L’esperimento consisteva nell’offrire due bicchieri anonimi di bevande (uno contenente Pepsi e l’altro Coca-Cola) a qualsiasi cliente dei supermercati di tutto il mondo, domandando quale bevanda si ritenesse migliore. La raccolta dei dati indusse a sperare in vendite superiori per Pepsi. Ma non andò così.

28 anni dopo, nel 2003, il direttore dello Human Neuroimaging Lab di Houston riprese lo studio, ma cambiò la modalità di raccolta dei dati. Utilizzò su diverse persone l’fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale), una macchina capace di sondare il cervello umano, che s’illumina laddove si verifica l’attività cerebrale di risposta a uno stimolo. Durante la prima somministrazione di bevande anonime venne confermata la preferenza per Pepsi. Ma alla seconda somministrazione, dopo che erano stati dichiarati, prima del test, i nomi dei brand, il 75% delle preferenze andò invece a Coca-Cola. L’attività cerebrale “accesa” indicava la predominanza del pensiero emozionale.

Cosa significa questo? Che l’esperimento di neuromarketing ha provato come, sebbene a livello inconscio il gusto più gradevole risultasse quello della Pepsi, le emozioni suscitate da Coca-Cola prevalevano nella preferenza.
Da allora le tecniche delle neuroscienze (come l’fMRI) sono state ampiamente utilizzate nel marketing e nella comunicazione per osservare l’effettiva percezione di un prodotto o l’efficacia di una campagna pubblicitaria.

Sempre nel libro di Dan Hill si legge che J.P. Morgan ha affermato che «un uomo prende una decisione per due ragioni: quella buona e quella vera». Questa frase rimanda alle motivazioni più profonde alla base delle nostre scelte, che hanno poco a che vedere con razionalità, logica e senso di utilità. In linea con questa idea, i risultati di una ricerca condotta su un campione di 23mila consumatori nordamericani, che analizzava 13 categorie diverse di prodotti e 240 messaggi pubblicitari, rivelano che i processi di carattere cognitivo non sono la variabile dominante nel processo della presa di decisione. Lo studio illustrato nell’articolo “The Power of Affect: Predicting Intention” di Morris e collaboratori, invece, ha dimostrato che le emozioni sono una variabile ben più rilevante nel processo di acquisto.

Lattine di Pepsi e Coca Cola

Dalla pubblicità martellante al marketing delle emozioni

Vi ricordate la martellante pubblicità che ha connotato le nostre vite fin quasi all’ultimo decennio del secolo scorso? Da un lato l’azienda che più che suggerirti di comprare un prodotto, quasi te lo imponeva, altrimenti sembravi un mezzo sfigato, dall’altro il povero consumatore subissato da bombardanti offerte, da immagini di modelli/e e di paradisi terrestri irraggiungibili, che avrebbe dovuto sentirsi in dovere, acquistando il prodotto, di entrare a far parte di quel mondo che in realtà non gli apparteneva.

Be’, tutto questo ormai non c’è quasi più, o è ridotto a poche aree specifiche come, ad esempio, quella dei profumi di marca. I tempi sono cambiati, la saturazione di prodotti sul mercato ha inferto un bel colpo a questa antica concezione di marketing, e il resto lo hanno fatto i social e il cambiamento radicale della figura del consumatore.

Noi, quando acquistiamo, non siamo più gli stessi di prima. Siamo diventatati più astuti e più pretenziosi rispetto alle nostre esigenze. Non ci accontentiamo più dei messaggi unidirezionali, abbiamo spodestato il brand dal suo trono e lo abbiamo messo al nostro pari, affinando le nostre preferenze e i nostri valori, imponendo le nostre personalità.

Adesso è principalmente il legame emotivo col brand, oltre alla condivisione dei valori di cui è portatore, a determinare le nostre scelte. Basti pensare a Gucci, con le sue modelle lontane dagli stereotipi di bellezza; a Dove, con le sue testimonial rispecchianti la vera società fatta di donne normalmente “imperfette”; a Nike e ai suoi manichini plus size; o anche ai diversi spot contro gli stereotipi e a favore dell’inclusività.

Un marchio che ci coinvolge emotivamente grazie ai colori, alla musica, ai ricordi che ci vengono suscitati, provocherà immedesimazione che a sua volta produrrà una spinta irrazionale verso quel determinato prodotto. Questa è la nuova realtà.

Vetrofania con claim di campagna Nike: Enjoy the run

Quando parliamo di emozioni alludiamo alla sfera sociale e individuale

La leva delle emozioni è da ricercarsi sia nella nostra sfera individuale che in quella sociale. Per questo il marketing delle emozioni delle aziende più evolute ha trasformato la comunicazione verticale in una diversa, alla pari, vicino ai pensieri e a ciò che provano gli esseri umani.

Da qualche anno stiamo assistendo, infatti, a un cambiamento di ruolo dei brand, volto a supportare le persone nell’espressione della propria identità, composta, da un lato, dall’appartenenza a una comunità o a uno stile di vita, dall’altro da una sfera prettamente personale in cui affermare la propria individualità. Dal canto loro anche i brand definiscono la loro identity manifestando i loro valori per acquisire fiducia e fidelizzazione di uno specifico pubblico che vi si può riconoscere.

Acquistare un brand oggi significa fare propri la sua storia, i suoi valori, i suoi principi. Quello che si tende a creare è una sorta di amicizia tra marca e individuo in cui ritrovarsi vicendevolmente. Una  relazione così non può essere pertanto che di tipo emotivo: la funzionalità del prodotto passa in secondo piano rispetto alla condivisione e alla personalizzazione dell’esperienza.

Ragazze felici in auto durante una giornata di shopping

Quando scegliamo un prodotto, in realtà scegliamo noi stessi

Vendere un prodotto equivale quindi a vendere storie, emozioni condivise, come paura, gioia, solidarietà, empatia. Gli spot natalizi di importanti brand, ad esempio, puntano su una narrazione totalmente emotiva volta alla nostalgia, agli affetti familiari, ai ricordi d’infanzia. Gli spot durante la prima ondata di Covid-19 mostravano strade deserte, oppure il silenzio delle città interrotto dalle sirene delle ambulanze: i brand si erano immedesimati nelle nostre emozioni restituendoci immagini che raccontavano di infermieri, corrieri, operai, persone sole in casa, prive di compagnia, ossia parlavano del nostro vissuto.

Il prodotto ormai non è più il protagonista; il messaggio emotivo infatti si sviluppa insieme al racconto in cui si rivela alla fine con la realizzazione di un desiderio/bisogno, grazie al prodotto. IKEA, ad esempio, fa emergere i sentimenti di nostalgia attraverso i ricordi. Momenti felici vissuti su una poltrona e che continueranno a esistere dopo generazioni (grazie anche alla resistenza della poltrona).

In altre parole, sono tutte emozioni che la maggior parte di noi condivide e sente proprie immedesimandosi nello storytelling.

Bambina abbraccia un orso di peluche

TuscanyPeople è storytelling emozionale da sempre

Il marketing non può più prescindere dalle emozioni, e le emozioni non possono prescindere dallo storytelling, dalla narrazione appassionante, avvincente, dal racconto evocativo. Perché è nello storytelling che le emozioni trovano il loro habitat naturale. Ognuno di noi è stato bambino, e ognuno di noi adorava ascoltare storie.

Le storie sono parte integrante del nostro vissuto, sono loro che ci hanno insegnato a essere quelli che siamo. I personaggi che raccontavano rappresentano tuttora archetipi per noi. I loro messaggi sono in parte i principi, i valori, che abbiamo fatto nostri. Per questo TuscanyPeople adora raccontare storie, perché ogni storia pesca nel profondo della nostra anima e riesce a creare empatia con chi legge. E così accade alle aziende raccontate da TuscanyPeople: entrano in empatia col lettore, ne diventano amiche. E questo oggigiorno, come abbiamo visto, è la cosa più importante.

The power of storytelling

Caro imprenditore, cara imprenditrice, confidiamo che questo articolo abbia aperto una nuova finestra sul tuo orizzonte commerciale. Ti invitiamo quindi a scriverci le tue considerazioni qui sotto, su Facebook, su Instagram. La condivisione di pensieri ed emozioni è fondamentale, ormai lo sappiamo.

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Informazioni sull'autore

Vieri Tommasi Candidi
Scrittore & Ambassador of Tuscany
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