L’orgogliosa ostentazione di “aretinità” da parte dei grandi aretini

C’è da notare che il Vasari ha sempre posto l’accento, in entrambe le edizioni delle Vite, sul suo essere aretino, né mai chiese la cittadinanza fiorentina, che pure avrebbe potuto facilmente ottenere da Cosimo I, e si costruì, arredò e affrescò da sé la casa per la sua vita ad Arezzo. Anche Pietro tenne sempre a firmare le sue opere come Aretino nonostante sia poi morto a Venezia nel 1556 per un colpo apoplettico nel bel mezzo d’una delle fastose cene che usava offrire agli amici, circondato da un gruppo di fanciulle, dette non a caso “le Aretine”, che lo servivano con adorazione: da una ebbe due figlie e di un’altra si innamorò perdutamente, anche se non ricambiato.

Per approfondire: Vasari, genio rinascimentale: pittore, architetto e storico dell’arte

Statua di Giorgio Vasari ad Arezzo

Nel “Secolo d’oro” Arezzo privilegiava la tradizione letteraria a scapito di quella scientifica

Se tuttavia questi fatti sono abbastanza noti, meno noto è che alla base di questa ostentazione di “aretinità”, così diffusa nel Secolo d’Oro, risieda una lunga, profonda e convinta tradizione letteraria. Ad Arezzo si attribuiva infatti particolare valore civico all’insegnamento della grammatica, ritenuta fondamento essenziale del buon vivere, del pubblico interesse e addirittura del saggio governo.

Questo privilegiare gli studi umanistici a scapito di quelli scientifici va attribuito anche al fatto che la città, presa nell’asfissiante morsa di Firenze, si sentiva scivolare lungo la china della decadenza e avvertiva l’impoverimento dei commerci, che a sua volta portava al parallelo declino degli studi e delle competenze letterarie.

Un atteggiamento simile caratterizzava anche altre città, da Pisa a Lucca a Volterra, ma ad Arezzo assumeva tonalità molto più forti perché gli Aretini del primo Rinascimento erano consci di essere stati i primi in Toscana, nel XIII secolo, a possedere un’importante università, seconda in Italia solo a quella di Bologna, quando in tutta Europa ce n’erano appena una ventina.

Ma sulla frase che il Vasari attribuisce a Michelangelo c’è un inghippo: scopri quale a pagina 3

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Scrittore & Ambassador of Tuscany
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