Francesco Redi nel 1685 pubblica “Bacco in Toscana”, un componimento buffonesco di elogio al vino toscano, diventato oggi un’importante fonte per la storia dell’enologia toscana.

 

“Bacco in Toscana” da componimento buffonesco a fonte storica

Scienziato (uno dei più grandi biologi di tutti i tempi), naturalista e letterato aretino, Francesco Redi è stato anche il medico di corte della famiglia Medici.

Statua di Francesco Redi nel loggiato della Galleria degli Uffizi a Firenze

L’elogio del vino toscano di Francesco Redi

Fine conoscitore di lingue e dialetti, fece parte dell’Accademia della Crusca. Di tutte le sue opere poetiche la più celebre è il ditirambo “Bacco in Toscana” (1685), capolavoro della letteratura d’evasione, di grande successo in tutta Europa. Il testo, famoso in special modo per la descrizione dell’ebbrezza di Bacco immaginato a passare in rassegna i vini toscani, ma non solo, offre un’interessante panoramica sull’enologia del tempo.

Dalla prima idea, del 1666, fino alla pubblicazione, avvenuta a Firenze nel 1685, passano quasi vent’anni, tanto che così scrive Francesco Redi a Magalotti il 29 dicembre 1684: “Questo benedetto Ditirambo è diventato l’Opera di Santa Liperata, direbbe un battilano”.

Il “Bacco in Toscana” di Francesco Redi, si sviluppa in ben 980 versi che vanno dall’elogio del vino toscano fino a una requisitoria contro caffè, tè, birra, sidro e i diversi prodotti non italiani derivati dalla distillazione alcolica.

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Statua di Bacco nel Giardino di Boboli a Firenze

Come nasce il “Bacco in Toscana”

In occasione della elezione di nuovi membri e delle cariche direttive, gli Accademici della Crusca erano soliti riunirsi un paio di volte all’anno per un pranzo collegiale che chiamavano “stravizzo”. Il 12 settembre 1666, alla presenza dei principi Leopoldo e Mattias de’ Medici, si tiene uno di questi appuntamenti conviviali per la nomina del nuovo Arciconsolo. Ne esce fuori una serata eccezionale.

Durante il brindisi, replicando a un’ottava scherzosa di Magalotti riguardo al vino che regge il mondo e non l’amore, Francesco Redi recita una “cicalata” di 44 versi in cui tesse le lodi di alcuni vini toscani. È una delle tipiche “composizioni buffonesche, e da far ridere”, di moda da secoli nella nostra regione. Da questa scaturirà, dopo numerose aggiunte e correzioni, il Bacco in Toscana.

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La pubblicazione del Ditirambo dei vini

Il 26 agosto 1673 Redi informa Magalotti: […] È finito il Ditirambo de’ vini ed è cresciuto fino a quattrocento tanti versi. V. S. Illustriss. lo vedrà stampato presto, e quel che più importa cum notibus et commentaribus”. In realtà il “Ditirambo dei vini” non viene ancora stampato, sebbene inizino a circolare molte copie manoscritte che subito acquisiscono celebrità presso i letterati toscani e la corte medicea.

La stesura definitiva

Dopo una lunga pausa, all’inizio del 1684 Redi riprende in mano il Ditirambo. I versi, nella stesura definitiva del “Bacco in Toscana” del 1685, diventano 980, e vengono pubblicati dopo 12 anni di aggiunte, rifacimenti e revisioni. Gran parte della fama di Francesco Redi è dovuta alla composizione, dal doppio registro, dell’elogio dei vini e degli amici più cari, insieme ai personaggi più in vista dell’epoca, in primis il Granduca Cosimo III.

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Statua di Cosimo III dei Medici a San Quirico d'Orcia

Di cosa parla il “Bacco in Toscana” di Francesco Redi

L’autore immagina che il dio del vino e la sua sposa Arianna durante uno dei loro frequenti viaggi si fermino col proprio seguito nella villa medicea di Poggio Imperiale. Così il “Bacco in Toscana” mostra uno spaccato della società seicentesca e della vita di corte, coi suoi giochi, i suoi balli, i suoi rituali: Bacco simboleggia il Granduca, mentre la corte è rappresentata da satiri e ninfe.

Montepulciano, il re dei vini

Sul prato del parco Bacco passa in rassegna i vini toscani insieme ad altri italiani rinomati, in totale 57 vini, una lista che termina col migliore di tutti, il noto Montepulciano che, “per altissimo decreto”, viene proclamato “d’ogni vino il re”.

I vini della piana fiorentina

Al contrario nel “Bacco in Toscana” sono denigrati i vini di pianura del contado fiorentino: “Accusato, / tormentato, / condannato / sia colui, che in pian di Lecore / prim’osò piantar le viti: / […] Se vi è alcuno, a cui non piaccia / la Vernaccia / vendemmiata in Pietrafitta, / interdetto, / maledetto / fugga via dal mio cospetto, / e per pena sempre ingozzi / vin di Brozzi, / di Quaracchi e di Peretola; / e per onta e per ischerno / in eterno / coronato sia di bietola”.

Caffè, tè e cioccolato

E ancor più sono denigrate le bevande “esotiche” che stanno diventando di moda, come il cioccolato, il caffè, il : “Non fia già, che il cioccolatte / v’adoprassi, ovvero il tè” – proclama Bacco – “medicine così fatte / non saran giammai per me; / beverei prima il veleno / che un bicchier che fosse pieno / dell’amaro e reo caffè”.

La birra e il sidro

E stessa identica condanna è decretata contro le “barbare” bevande del Nord Europa, come la birra o il sidro: “Chi la squallida Cervogia / alle labbra sue congiugne, / presto muore, o rado giugne / all’età vecchia e barbogia. / Beva il Sidro d’Inghilterra / chi vuol gir presto sotterra; chi vuol gir presto alla morte / le bevande usi del Norte”.

Isabella dei Medici, figlia di Cosimo I e Eleonora di Toledo, è una delle figure femminili più importanti della grande casata toscana

I difetti dell’acqua secondo Bacco

Il “Bacco in Toscana” prosegue poi con il dio del vino che denuncia i difetti dell’acqua: “Vadan pur, vadano a svellare / la cicoria e i raperonzoli / certi magri mediconzoli, / che con l’acqua ogni mal pensan di espellere: / io di lor non mi fido, né con essi mi affanno, / anzi di lor mi rido; / che con tanta lor acqua io so ch’egli hanno / un cervel così duro e così tondo, / che quadrar non potria nemmeno / in pratica, / del Vivian il gran saper profondo / con tutta quanta la sua matematica”.

In tal modo Redi, in qualità di poeta, prende in giro il se stesso medico incline a difendere i vantaggi della dieta idrica.

Francesco Redi poeta auto-ironico

Con la stessa auto-ironia, il medico aretino si diverte a descriversi felice vittima del vino: “Vino, vino a ciascuno bever bisogna, / se fuggir vuole ogni danno; / e non par mica vergogna / tra i bicchieri impazzir sei volte l’anno: / io per me son nel caso, / e sol per gentilezza / avallo questo e poi quell’altro vaso; / e sì facendo, del nevoso cielo / non temo il gielo, / né mai nel più gran ghiado m’imbacucco / nel zamberlucco, / come ognor vi s’imbacucca / dalla linda sua parrucca / per infino a tutti i piedi / il segaligno e freddoloso Redi”.

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Antica statua greca di Dionisio, dio del vino

Il finale del Bacco in Toscana

Nella parte finale del Bacco in Toscana, la più celebre per genialità ritmica e composizione, l’alternarsi dei versi e dei giochi di assonanze e di rime riflette bene l’ebbrezza di Bacco che, ondeggiando, crede di essere su una nave in viaggio verso Brindisi, in un riuscito calembour tra Brindisi città e brindisi di vino.

La scena conclusiva rappresenta una tempesta marina, metafora della tempesta di ubriachezza di Bacco, per cui è necessario buttare a mare i barili di vino e vomitare fuori dal corpo quello ingurgitato. Ma lo scampato pericolo non può che essere festeggiato con un’altra abbondante bevuta: mentre Bacco va ancora in estasi, le Baccanti alternano ebbri canti e i satiri si sdraiano per terra, “cotti come monne”, ossia ubriachi come scimmie.

 

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