Firenze è da sempre palcoscenico di grandi racconti e trame della Storia. Oggi vi raccontiamo dell’incontro tra due protagonisti assoluti dell’Ottecento italiano, l’incontro tra Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi al Gabinetto Vieusseux.

 

Quando Manzoni e Leopardi s’incontrarono al Gabinetto Vieusseux

Il Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux, più comunemente detto Gabinetto Vieusseux, fu fondato a Firenze nel 1819 da Giovan Pietro Vieusseux, un mercante di origine ginevrina, e nell’Ottocento si rivelò uno dei principali collegamenti tra la cultura italiana e quella europea, oltre che un centro tra i più attivi per il nostro Risorgimento.

Storia dell'incontro tra Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi al Gabinetto Vieusseux di Firenze

La nascita del Gabinetto Vieusseux

In principio, nacque come gabinetto di lettura nel quale venivano messe a disposizione del pubblico le più importanti riviste d’Europa consultabili dentro sale aperte alla conversazione e allo scambio di idee. A fianco del Gabinetto venne poi allestita una biblioteca circolante, presso la quale era possibile prendere in prestito le novità librarie in quattro lingue: italiano, francese, inglese e tedesco.

Tra i soci stranieri abbonati figurano personaggi del calibro di Stendhal, Arthur Schopenhauer, James F. Cooper, William M. Thackeray, Fëdor Dostoevskij, Mark Twain, Emile Zola, André Gide, Rudyard Kipling, Aldous Huxley, David H. Lawrence e, last but not least, Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni, che frequentarono il Gabinetto Vieusseux durante i loro soggiorni fiorentini.

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Storia dell'incontro tra Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi al Gabinetto Vieusseux di Firenze

L’incontro tra Manzoni e Leopardi a Firenze

Il famoso, e forse fatidico, incontro tra loro avvenne a Firenze la sera di lunedì 3 settembre 1827, alle 19 in punto, in una delle tre sale al primo piano di Palazzo Buondelmonti, in Piazza Santa Trinita, oggi in parte occupate dal Caffè-Ristorante Isabelle, allora prima sede del Gabinetto Vieusseux.

È in quel luogo, in quella data, a quell’ora, che avviene la prima congiunzione astrale tra le due massime stelle letterarie del nostro Ottocento. È in quel momento che Giacomo Leopardi, 29enne, conosce Alessandro Manzoni, 42enne, arrivato a Firenze, com’è noto, per “risciacquare i panni in Arno“, ossia rivedere linguisticamente la prima edizione de I Promessi Sposi, quella, appunto, del 1827 – l’edizione definitiva è del 1840-42 -, alla luce del fiorentino.

Storia dell'incontro tra Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi al Gabinetto Vieusseux di Firenze

71 lenzuoli da risciacquare

È ormai storia patria che dopo l’uscita della prima edizione de I Promessi Sposi, la cosiddetta “Ventisettana”, Manzoni fosse profondamente insoddisfatto della sua opera dal punto di vista linguistico, cosicché aveva deciso di trasferirsi per un breve periodo di tempo a Firenze insieme alla propria famiglia per studiare la lingua locale e correggere il romanzo. Lo scrittore voleva un pubblico più vasto per I Promessi Sposi e aveva bisogno di una lingua scritta che fosse il più vicino possibile a quella parlata.

Considerata la situazione storica della nostra penisola, ancora divisa in numerosi stati indipendenti, ciascuno geloso della propria lingua o dialetto, Manzoni aveva individuato nel fiorentino, culturalmente egemone nel corso dei secoli, il modo di parlare più adatto allo scopo. Tanto che in quel periodo scriveva al Grossi: “Ho settantun lenzuoli da risciacquare”. Ossia settantuno pagine da adattare alla lingua fiorentina.

Storia dell'incontro tra Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi al Gabinetto Vieusseux di Firenze

Sono stanco della vita…

Leopardi, invece, era partito per Firenze il 20 di giugno. Veniva da Bologna, dove l’editore Stella gli aveva commissionato una prima Crestomazia: un’antologia di prosatori italiani dal Trecento al Settecento. Il poeta era attratto dal gruppo di letterati appartenenti al Gabinetto Vieusseux e il 21, su consiglio di Giordani e di Pietro Brighenti, trovò una sistemazione all’albergo della Fontana nei pressi del Mercato del grano e di Palazzo Vecchio.

A Firenze Leopardi inizia a frequentare fin da subito il Gabinetto Vieusseux. Entra in contatto con grandi personaggi dell’epoca, Gino Capponi, Niccolò Tommaseo, Pietro Colletta, Alessandro Poerio, ed è sempre qui che conosce il giovane esule napoletano Antonio Ranieri, che rivestirà grande importanza nella sua vita.

Il suo stato d’animo, però, non è dei migliori, tanto che il 16 agosto aveva scritto all’amico Francesco Puccinotti di Macerata: “Sono stanco della vita, stanco della indifferenza filosofica, ch’è il solo rimedio de’ mali, e della noia, ma che in fine annoia essa medesima. Non ho altri disegni, altre speranze che di morire. Veramente non metteva conto il pigliarsi tante fatiche per questo fine.”

Così, è in questo stato di estrema fragilità che il recanatese incontra Manzoni e ne rimane profondamente colpito.

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Soirée priée al Gabinetto Vieusseux

Lo scrittore lombardo, dal canto suo, aveva bisogno degli intellettuali del Gabinetto Vieusseux, perché era in tutt’altre faccende affaccendato. Quell’estate, oltretutto, non si parlava d’altro che de I Promessi Sposi, e lo stesso Gian Pietro Vieusseux non stava più nella pelle e attendeva trepidante il conte Manzoni, come dimostrato dalle lettere inviate al marchese Gino Capponi.

Dunque, la sera del 3 settembre venne organizzata nella sede del Gabinetto letterario, la presentazione ufficiale dell’ospite illustre agli intellettuali fiorentini. Ad attenderlo, alle 19 in punto, c’erano lo stesso Vieusseux, Giovan Battista Niccolini, il settantenne linguista Gaetano Cioni, Mario Pieri, Pietro Giordani, Terenzio Mamiani, insieme al ben più noto cugino Giacomo Leopardi.

La serata, a parte qualche frecciatina del Giordani nei confronti di alcuni dei convitati di fede dichiaratamente romantica, si rivelò probabilmente piacevole, visto che alle 21 Manzoni si ritirò nel suo albergo con aria soddisfatta, come testimoniato da una lettera della figlia Giulietta indirizzata al cugino Giacomo Beccaria: “Il Lunedì c’è soirée priée dal direttore del Gabinetto letterario dove Papà va ogni giorno, ebbe l’invito in istampa e ieri vi passò la sera e siccome il biglietto vale per varii Lunedì conta andarci sempre vedi che è molto per lui.

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Storia dell'incontro tra Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi al Gabinetto Vieusseux di Firenze

Il racconto di Pietro Citati

Pietro Citati, nel suo libro dal titolo Leopardi, racconta così l’episodio: «…Manzoni era giunto a Firenze con la madre, la moglie, i figli e quattro domestici, scendendo in un grande albergo, le 4 Nazioni, come un potente della terra. La sera del 3 settembre fu invitato al Gabinetto Vieusseux. C’era anche Giacomo Leopardi, dapprima nel suo cantuccio abituale.

I due si parlarono a lungo. Non sappiamo cosa si dissero, ma Leopardi amò quell’uomo dolce, modesto e amabile, che parlava balbettando e arrossendo, e a tratti si animava e diventava eloquente. Forse pensò di assomigliargli, almeno nella nevrosi e nella timidezza. Avevano la stessa grazia del cuore: un dono rarissimo, che incanta tutti coloro che lo conoscono».

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Il racconto del Leopardi

Qualche giorno dopo, Leopardi descriveva l’evento al padre Monaldo:

Firenze, 8 settembre 1827

“… Del rimanente, grazie a Dio, sto bene, eccetto incomodi leggeri di flussioni e di stomaco. Ella indovina assai bene che io non posso curarmi molto di certe alte conoscenze, dalle quali anche non potrei sperar nulla. Me la passo con questi letterati, che sono tutti molto sociali, e generalmente pensano e valgono assai più de’ bolognesi. Tra’ forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l’Italia parla, e che ora è qui colla sua famiglia.”

Mentre lo stesso giorno, in una lettera scritta all’amico Pietro Brighenti, dichiara:

“Io qui ho avuto il bene di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama.”

Dunque, possiamo ipotizzare che gli effetti del loro breve incontro furono benefici per entrambi, soprattutto per Leopardi, più giovane ed emotivo, che subì la forte influenza della prosa manzoniana, come si nota nei Canti, dal tono più narrativo, composti subito dopo a Pisa e a Recanati.

Mentre Manzoni, finché non ripartì per Milano, lavorò a pieno ritmo alla revisione del suo romanzo, in particolar modo stringendo una solida amicizia con il Cioni e frequentando assiduamente anche il Niccolini, tanto da riferire all’amico Tommaso Grossi: “Un’acqua come l’Arno e lavandaie come Cioni e Niccolini, fuori di qui non le trovo in nessun luogo…”.

3 settembre 1827, Gabinetto Vieusseux di Firenze. Alessandro Manzoni presenta I Promessi Sposi: tra il pubblico un giovane Giacomo Leopardi

Cosa pensava Manzoni di Leopardi?

E Manzoni, al di là delle tante dicerie e maldicenze, cosa pensava realmente di Leopardi?

L’unica testimonianza ci viene dal filologo Svizzero De Sinner. Quando, nel 1830, lasciando l’Italia, lo studioso passò per Milano e chiese al Manzoni se conoscesse Leopardi e le sue Operette morali, lo scrittore lombardo, superando il naturale riserbo nei confronti dei colleghi, rispose entusiasta: “Voi conoscete Leopardi… avete letto i suoi saggi di prosa? Noi l’abbiamo fatto… basta prestare attenzione a questo piccolo volume; in quanto a stile, non si poteva scrivere niente di meglio nella prosa italiana dei nostri giorni…”

Be’, Firenze ancora amabile teatro di vite di grandi uomini, di grandi incontri, di grandi storie. Tanto basta, no?

 

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