Storia di Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena e della tragica legge del 1780 che permise l’abbattimento delle foreste appenniniche, innescando una delle più impattanti catastrofi ambientali della Toscana.

Pietro Leopoldo: tra Illuminismo e avventate riforme economiche

Il governo del granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena rappresentò un’epoca di grandi riforme per la Toscana.

Celebri l’abolizione della pena di morte nel 1786 e il progetto, mai giunto a compimento, di promulgare una costituzione, secondo la quale un’assemblea rappresentativa avrebbe vincolato l’azione di governo del granduca.

Statua del Granduca Pietro Leopoldo a Pisa

Le riforme economiche di Pietro Leopoldo

In campo economico, Pietro Leopoldo promosse il libero scambio e sciolse la gestione della proprietà privata da numerosi vincoli che risalivano al periodo medievale. Furono soppresse le antiche Corporazioni delle arti e dei mestieri come le 166 dogane interne.

Al Medioevo risaliva anche la complessa legislazione che scoraggiava il commercio del grano. Così, furono aboliti gli antichi vincoli che miravano ad assicurare il pane ai toscani, sacrificando la possibilità di esportate i grani con i relativi guadagni. Anche le splendide case coloniche toscane risalgono, per la maggior parte, proprio a questo Settecento riformatore.

Il marchese Matteo Biffi Tolomei, intellettuale dell’epoca e ambientalista ante litteram, guardava con favore all’Illuminismo e alle riforme del sovrano; tuttavia ebbe anche la rara capacità di osservare con spirito critico la sua stessa visione del mondo e le sue stesse teorie economiche, allorché queste non funzionavano.

Casa colonica a Castellina in Chianti

La questione sui boschi dell’Appennino

Il giorno in cui Pietro Leopoldo giunse in Toscana le foreste appenniniche erano protette dalle severissime leggi medicee. Entro un miglio dalle cime montuose e dai crini era proibito abbattere alberi, in qualunque modo.

Le leggi medicee sul taglio del legname

I trasgressori rischiavano multe e pene corporali, fino alla pena di morte. Per fortuna non risulta alcuna esecuzione capitale. Tuttavia quando non si riusciva a trovare il colpevole, la multa ricadeva su tutta la comunità (amministrazione dalla quale discendono molti dei nostri comuni), nel cui territorio erano stati tagliati gli alberi.

Quello spazio di Toscana.. che la Natura con ammirabile magistero aveva disposto perché stesse sempre vestito onde produrre all’umanità molti beni“. (Matteo Biffi Tolomei)

Una volta che Pietro Leopoldo ebbe iniziato dispiegare le sue riforme liberali, la discussione investì anche l’Appennino. Nell’entourage del sovrano, prevalse l’opinione che occorresse accordare maggiore libertà di taglio. Lo spirito del tempo con il desiderio di capitalizzare un investimento ligneo, accresciutosi e ramificatosi per secoli, soffiavano in tale direzione. Nondimeno moltissime comunità locali, con l’influente ministro Francesco Maria Gianni, non desideravano lasciar campo libero alla sega e alla scure.

Boschi e ruscello sull'Appenino pistoiese vicino all'Abetone

Perché Pietro Leopoldo di Toscana abolì la legge di tutela delle foreste appenniniche

Matteo Biffi Tolomei racconta due divertenti, quanto inverosimili aneddoti, su come Pietro Leopoldo si convinse ad abolire le leggi dei Medici.

La farsa montata ad arte da proprietari terrieri e carbonai

Quando il granduca partì per visitare la Romagna toscana (terre romagnole, allora annesse al Granducato), le guide malevole deviarono dalla strada migliore.

Il sovrano e il suo seguito vennero portati in una fitta faggeta, ove un asino fu “sapientemente” condotto a incastrarsi tra gli alberi troppo fitti. Più innanzi, attendeva un gruppo di carbonai, pronto a gettarsi ai piedi del loro principe per piangere miseria ed implorare di tagliare qualche albero.

Si promulga la legge a favore dell’abbattimento dei boschi

Ma è davvero possibile che simili sceneggiate trassero in inganno? Non pare credibile. Certo, la legge del 24 ottobre 1780 permise ai proprietari dei boschi appenninici di abbattere gli alberi. Si credette di arginare il pericolo che acqua e vento portassero via la terra fertile, vietando di appiccare il fuoco, seminare grano, usare l’aratro. La terra spoglia sarebbe dovuta rimanere a prato o accogliere nuovi alberelli.

Molti proprietari si affrettarono a tagliare i loro boschi per vendere il legname, gruppi di carbonari accorsero anche da altre parti d’Italia. Tanta era la legna a buon mercato, che ai carbonari convenne utilizzare soltanto i rami migliori e lasciare il resto a marcire. Molti terreni furono quindi puliti e fertilizzati con il fuoco, arati e seminati con le colture proibite; facile trovare un magistrato, a Firenze o nelle comunità locali, che “condonasse” le trasgressioni.

Legna tagliata in un bosco al tramonto

La catastrofe ambientale dell’Appennino

Dopo pochi anni la terra iniziò a mostrare i segni dell’erosione, lasciando spazio alla nuda pietra. I torrenti non più trattenuti dalle piante esondarono e provocarono spesso gravi danni.

Pietro Leopoldo iniziò a dispiacersi delle montagne brulle e dispose che le trasgressioni al divieto di bruciare, arare e seminare grano, non fossero più graziate. Secondo Matteo Biffi Tolomei, se il granduca non avesse dovuto a rientrare in Austria, per diventare Imperatore, avrebbe riformato completamente la gestione forestale appenninica.

Tanto più che il bestiame al pascolo non trovava faggiole (i frutti del faggio), né riparo durante le tempeste o buone foglie nelle stalle. I pochi campi d’alta quota, coltivati a fieno, persa la protezione degli alberi, diminuivano la loro produzione. Il legno che un tempo veniva prelevato in giusta quantità, di nascosto alle leggi medicee, iniziò a scarseggiare, crebbe di prezzo ed alcune popolazioni dovettero scaldarsi, rovinando i preziosi boschi di querce da ghianda alle quote più basse.

Alcune cime brulle dell'Appennino Tosco Emiliano

Il doppio danno di una legge sbagliata

Più tardi Bettino Ricasoli, personalità eminente del Risorgimento e primo viticoltore a produrre il Chianti nella celebre formula, 70% Sangiovese, 15% Canaiolo, 15% Malvasia, ebbe ad accordarsi con il giudizio di Matteo Biffi Tolomei: dopo i primi introiti, abbattere la selva rappresentò un danno economico per i proprietari.

Il solo rigore delle leggi che proibivano il taglio di quella macchia, ed ogni smovimento della terra sosteneva in vita quello spazio vestito; tolta la legge, tutto dagli uomini, che per un piccolissimo bene presente perdono un immenso futuro, venne distrutto. Avendo io detto tanto in difesa di quel Bosco Sacro..“. (Matteo Biffi Tolomei)

La riforestazione del Casentino di Leopoldo II

Quando Leopoldo II divenne granduca, piuttosto che tornare ai rigidi divieti, difficilmente applicabili e poco in sintonia con lo spirito dei tempi nuovi, acquistò in Casentino terre scoperte, sulle quali fece piantare nuovi alberi che crebbero rigogliosamente. Nel 1877 fu il giovane Stato Italiano ad approvare una legge generale per la protezione delle foreste.

Fitto bosco di alta quota in Casentino

Matteo Biffi Tolomei, un ambientalista ante litteram

Allora studiando la legislazione forestale degli stati preunitari, emerse come per lunghi secoli i Medici e la Toscana avessero sviluppato un’attenzione del tutto particolare per l’ambiente, riflessa nitidamente nelle pagine di Matteo Biffi Tolomei, precursore toscano dell’ambientalismo del quale essere orgogliosi.

L’amore dei toscani contemporanei per i loro boschi stupendi e per la natura potrà adesso sorprendere meno? Le foglie sono verdi e le radici profonde.

Se desiderate sapere di più sulla storia di Pietro Leopoldo e il disastro ambientale provocato dalla sua legge del 1780, vi consigliamo: Matteo Biffi Tolomei, Una tragedia ecologica del Settecento: Alpi, ossia Appennino toscano e sue vicende agrarie, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 2004.

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