Ripercorriamo le principali tappe della storia dei Medici, una delle più grandi dinastie italiane. In questo terzo capitolo raccontiamo la storia di Cosimo il Vecchio, definito dai fiorentini Pater Patrie, figlio di Giovanni di Bicci de’ Medici, fondatore del Banco Mediceo.

Medici, la più grande dinastia toscana: Cosimo il Vecchio

Nell’episodio precedente vi abbiamo raccontato l’imponente ascesa economico-politica che permise ai Medici, tramite la figura di Giovanni di Bicci, di acquisire ricchezza e prestigio tali da poter influire sempre di più sul delicato equilibrio della città di Firenze. Qui invece vi racconteremo il consolidamento della posizione della famiglia all’interno delle mura cittadine – ma non solo – ad opera di uno dei personaggi che si riveleranno tra i più importanti dell’intera storia dei Medici: Cosimo, figlio di Giovanni, noto anche come “il vecchio” o “pater patriae”.

👉 Leggi l’episodio precedente della storia dei Medici: “Cosimo il Vecchio, il Pater Patriae”

Nel 3° capitolo sulla storia dei Medici, dopo aver raccontato le origini della dinastia e l'apertura del Banco Mediceo da parte di Giovanni di Bicci de' Medici, parliamo di suo figlio Cosimo il Vecchio

La formazione di Cosimo il Vecchio

Primogenito di Giovanni e di Piccarda Bueri, Cosimo il Vecchio ricevette una solida cultura umanistica presso il circolo del monastero dei camaldolesi, oltre a nozioni di mercatura e finanza impartitegli dal padre, secondo la tradizione familiare.

Nel 1414, Cosimo accompagnò l’antipapa Giovanni XXIII al Concilio di Costanza. Nel marzo dell’anno successivo l’antipapa cadde in disgrazia e fu imprigionato a Heidelberg. Cosimo il Vecchio allora viaggiò in Germania e in Francia e ritornò a Firenze soltanto nel 1416, anno in cui sposò la giovane Contessina de’ Bardi, rampolla di una delle famiglie più antiche e insigni di Firenze. Già in questo genere di matrimonio, che si ripete spesso lungo tutto l’arco della lunga storia dei Medici, si nota la costante tendenza della famiglia di legarsi alle nobili schiatte per fortificare quella rispettabilità che le probabili umili origini della casata non avevano loro concesso con facilità.

Nel 3° capitolo sulla storia dei Medici, dopo aver raccontato le origini della dinastia e l'apertura del Banco Mediceo da parte di Giovanni di Bicci de' Medici, parliamo di suo figlio Cosimo il Vecchio

Cosimo diventa capofamiglia

Nel 1420, il padre Giovanni si ritirò dalla gestione attiva dell’economia familiare e lasciò il Banco in mano ai figli Lorenzo e Cosimo, anche se fu quest’ultimo, il quale manifestava fin da giovane quella proverbiale prudenza che presto l’avrebbe reso famoso in tutta l’Europa, l’artefice dell’ulteriore espansione della rete finanziaria medicea, aprendo filiali a Bruges, Parigi, Londra, e nel resto delle principali città europee.

Ma non è tutto oro quel che luccica. A parte la sua astuta prudenza, che senza dubbio lo favorì, Cosimo il Vecchio riuscì effettivamente ad accrescere la propria influenza politica ricorrendo, senza molti scrupoli, a pratiche clientelari e di corruzione. Come si vede, cambiano i tempi, i modi, ma non la sostanza.
Così, dopo la morte di Giovanni, nel 1429, Cosimo il Vecchio si ritrovò nelle vesti di capofamiglia e di rappresentante degli interessi medicei che a Firenze continuavano a cozzare con lo strapotere della fazione oligarchica guidata dagli Albizzi e dagli Strozzi.

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L’incarcerazione di Cosimo dei Medici

Il 5 settembre 1433, Rinaldo degli Albizzi e Palla Strozzi, preoccupati dalla minaccia rappresentata da Cosimo il Vecchio, riuscirono, dopo alcuni tentativi falliti in passato, a incarcerarlo presso il Palazzo dei Priori. Lo stesso Cosimo il Vecchio, nei Ricordi, racconta i particolari della sua cattura:

« Seguì che a dì 7, la mattina sotto colore di volere la detta pratica, [gli oligarchi] mandarono per me, e giunto in Palazzo trovai la maggior parte de’ compagni e stando a ragionare, dopo buono spazio mi fu comandato per parte de’ Signori, ch’io andassi su di sopra, e dal capitano de’ fanti fui messo in una camera, che si chiama la Barberia, e fui serrato dentro. »

Si temette a tal punto per la sua vita che il fratello Lorenzo lo credette ucciso durante l’arresto. Nei giorni successivi, l’astuto Cosimo il Vecchio, incarcerato per ordine del Gonfaloniere Bernardo Guadagni, si rifiutò di mangiare il cibo che gli servivano i suoi carcerieri per timore che fosse avvelenato. Riuscì poi a ottenere che le vivande gli fossero portate da casa e a corrompere Federico Malavolti, il suo guardiano, con una grossa cifra, in modo da potere comunicare con l’esterno e spingere il popolo a sollevarsi in suo favore.

Nel 3° capitolo sulla storia dei Medici, dopo aver raccontato le origini della dinastia e l'apertura del Banco Mediceo da parte di Giovanni di Bicci de' Medici, parliamo di suo figlio Cosimo il Vecchio

L’esilio di Cosimo il Vecchio da Firenze

Allo stesso tempo, il governo oligarchico guidato da Rinaldo degli Albizzi, ma diviso da più correnti d’opinione, subì pressioni dagli altri stati italiani perché Cosimo il Vecchio non fosse condannato a morte, finché la sua pena non venne commutata in esilio.

Machiavelli, una delle fonti fondamentali della storia dei Medici, annota nelle Istorie fiorentine:

« Rimasta Firenze vedova d’uno tanto cittadino e tanto universalmente amato, era ciascuno sbigottito; e parimente quelli che avevano vinto e quelli che erano vinti temevano. »

Cosimo il Vecchio trovò rifugio prima a Padova, poi a Venezia, dove c’era un’importante filiale del Banco Mediceo. Per un po’ vi trascorse una specie d’esilio dorato, ma la verità è che non cessò mai d’influenzare, da lontano, le decisioni dell’instabile Signoria oligarchica fiorentina al fine di preparare il suo rientro in pompa magna.

Approfittando della crescente crisi del regime oligarchico, la Repubblica, nell’agosto del 1434, nominò una balìa interamente filo-medicea che, poco dopo l’insediamento, richiamò Cosimo il Vecchio a Firenze. Paradossalmente, il violento bando dei Medici da Firenze aveva finito per indebolire gli Albizzi, gli Strozzi e il governo che era loro fedele, e al contempo aveva consolidato il potere di Cosimo che godeva di largo credito sia presso le corti straniere, sia all’interno della stessa Firenze a causa delle sue fitte reti clientelari.

Il rientro a Firenze

Così, il 6 ottobre, Cosimo il Vecchio rientrò trionfalmente nella sua città acclamato dal popolo che preferiva di gran lunga la tolleranza dei Medici al dispotismo di stampo reazionario degli Albizzi e degli Strozzi.

Cosimo spedì a loro volta gli avversari in esilio e, nel tempo, si affermò come arbitro assoluto della politica fiorentina, pur senza ricoprire cariche dirette: fu solamente due volte Gonfaloniere di Giustizia. Attraverso il controllo delle elezioni, del sistema tributario, o creando nuove magistrature – come il Consiglio dei Cento – assegnate a uomini di stretta fiducia, Cosimo il Vecchio pose le basi del potere della famiglia, apparendo però sempre formalmente rispettoso delle libertà repubblicane e mantenendo una vita appartata e modesta, come un privato cittadino.

Vista di Firenze

Cosimo, il criptosignore di Firenze

Si meritò così, a posteriori, la fama di “criptosignore”, in altre parole di un Signore che, pur privo d’un ruolo istituzionale, controlla il governo attraverso esponenti a lui fedeli.

Nella gestione del potere – che esercitava dal suo dal suo palazzo in Via Larga (oggi via Cavour) – Cosimo si comportò con generosità e moderazione, ma anche, all’occasione, con spietatezza. Quando Bernardo d’Anghiari, accusato di un complotto, fu ucciso per ordine dei priori, Cosimo il Vecchio disse: «Un nemico precipitato giù da una torre non giova a granché, ma neppure può far male (…)» «(…) gli stati non si governano coi paternostri».

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La politica estera

Cosimo il Vecchio si dimostrò sempre molto accorto anche in politica estera. Dapprima alleato di Venezia, contro il Ducato di Milano, seppe però mantenere un equilibrio economico-politico anche con la città lombarda – soprattutto dopo la proclamazione a Duca di Francesco Sforza – fino ad arrivare al rovesciamento delle alleanze per sopraggiunti dissidi con la Serenissima e per tutelare l’intensa attività del Banco dei Medici in terra meneghina.

Un’altra mossa geniale di Cosimo il Vecchio, che contribuì a mutare le sorti dell’intera storia dei Medici, fu riuscire a convincere Papa Eugenio IV a spostare il Concilio che avrebbe discusso l’unione tra Chiesa latina e Chiesa bizantina, da Ferrara a Firenze: l’evento, d’importanza mondiale, attrasse gli sguardi dei sovrani e dei mercanti di tutta Europa.

L’arrivo della delegazione bizantina a Firenze

L’arrivo dei delegati bizantini a Firenze, insieme a una corte di colorati e bizzarri personaggi tipici dell’Oriente di allora, stimolò incredibilmente la fantasia della gente e dei pittori, e a questo corrispose una straordinaria fioritura di studi della filosofia platonica e della letteratura greca.

Così, grazie alla competenza e all’erudizione di Marsilio Ficino, Cosimo il Vecchio fondò l’Accademia neoplatonica, la quale spostò lo sguardo degli studiosi dagli interessi concreti e pratici propri dell’umanesimo civile della prima metà del secolo, a una visione più speculativa e contemplativa dell’esistenza, probabile metafora della fine delle libertà civili e del crescente dominio mediceo.

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Cosimo il Vecchio, il Pater Patriae

Anche il mecenatismo fu un’arma nelle mani di Cosimo che fece costruire opere pubbliche come il Convento di San Marco o la Basilica di San Lorenzo, e permise a tutti l’accesso alla sua immensa biblioteca, poi soprannominata “Laurenziana” in quanto collegata con la Basilica di San Lorenzo.

Quando Cosimo il Vecchio morì, il 1° agosto 1464, il figlio Piero volle che fosse sepolto, secondo la volontà del padre, come un privato cittadino, ma ciononostante permise che la Signoria e il popolo gli tributassero i dovuti onori attraverso l’iscrizione “Pater Patriae sulla lastra della tomba realizzata dal Verrocchio.

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Machiavelli, nelle Istorie Fiorentine, scrive:

« Non di meno morì pieno di gloria, e con grandissimo nome nella città e fuori. Tutti i cittadini e tutti i principi cristiani si dolgono con Piero suo figliuolo della sua morte, e fu con pompa grandissima da tutti i cittadini alla sepultura accompagnato, e nel tempio di San Lorenzo sepellito, e per publico decreto sopra la sepultura sua PADRE DELLA PATRIA nominato. Se io, scrivendo le cose fatte da Cosimo, ho imitato quelli che scrivono le vite de’ principi, non quelli che scrivono le universali istorie, non ne prenda alcuno ammirazione, perché, essendo stato uomo raro nella nostra città, io sono stato necessitato con modo estraordinario lodarlo. »

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