La vera storia di Leonardo da Vinci: una ricostruzione cronologica della vita del genio toscano, con piccoli approfondimenti sulle opere leonardiane più famose.

Leonardo da Vinci: la vera storia del genio toscano

Non ci nascondiamo dietro un dito: anche noi abbiamo visto la serie TV RAI su Leonardo Da Vinci, e non ci ha affatto convinti in questo suo forte scollamento dalla realtà. Non è una questione di purismo, sappiamo perfettamente che in un’opera artistica i fatti biografici si possono manipolare e trasformare a piacimento per rendere più avvincente la trama. Il problema, però, sorge quando l’opera in questione s’intitola “Leonardo” e la biografia ufficiale risulta stravolta.

Ritratto in bianco e nero di Leonardo da Vinci

Lo sceneggiato RAI su Leonardo da Vinci

Il rischio maggiore, in questo caso, è quello di creare qualcosa di peggiore dell’ignoranza: una falsa cultura. Il rischio maggiore è credere che Leonardo abbia effettivamente ucciso Caterina da Cremona; che al “vernissage” del Battesimo di Cristo sia stato direttamente ingaggiato da Ludovico il Moro; credere che le “modelle” all’epoca si sottoponessero a lunghe sedute di posa; che la protagonista potesse essere così disinibita per quei tempi; immaginare che Verrocchio e Leonardo, a giornate alterne, dipingessero una tavola come fosse un affresco.

Oppure, ancora, a scelta: che Leonardo avesse dato un contributo determinante alla realizzazione verrocchiesca dell’enorme palla in rame dorato che sormonta la lanterna della Cupola del Brunelleschi; che Verrocchio stesso l’avesse cacciato dalla sua bottega a seguito dello scandalo suscitato dal processo per sodomia a suo carico; che Leonardo avesse davvero salvato la vita a Ludovico il Moro.

Filippo Brunelleschi, autore della Cupola del Duomo di Firenze, è uno dei simboli del Rinascimento

La nota stampa della RAI sulla fiction “Leonardo”

A che pro tutto questo? ci domandiamo. In una nota stampa la Rai ha chiarito la sua volontà di “[…] svelare il mistero di uno dei personaggi più affascinanti ed enigmatici della Storia. […] Questo è un crime mistery” – ha dichiarato a Repubblica il produttore della serie Luca Bernabei – “Noi facciamo serie tv, non documentari. Ci siamo ispirati a fonti vere, ma poi gli sceneggiatori hanno avuto la necessità di inventare qualcosa su una vita che ha molti punti oscuri. La storia di Caterina da Cremona, ad esempio, è vera perché ci sono dei contratti in cui Leonardo la chiedeva come modella. Abbiamo pensato che lei fosse la sua musa ispiratrice e abbiamo tessuto nella trama vera alcuni elementi di finzione”.

Ora, è vero che dell’artista sappiamo molto, mentre la figura dell’uomo è ancora in buona parte avvolta nel mistero; ma queste giustificazioni avrebbero avuto un senso, se si fosse proposto un personaggio su cui ci fosse stato poco da dire, o al contrario, su cui ne fossero state dette anche troppe, un tipo alla Caravaggio, per intendersi. Ma stiamo parlando di Leonardo da Vinci, probabilmente il più grande genio di sempre, che ha poco o nulla a vedere con un “crime mistery”. Perché scegliere lui, allora?

Statua di cera di Leonardo da Vinci al museo di Madame Tussauds di Istanbul

Le nostre critiche alla fiction RAI sulla vita di Leonardo

Inoltre, se proprio si voleva rendere più appassionante lo sceneggiato RAI, si poteva tranquillamente (e sarebbe stato alquanto auspicabile) puntare a far risaltare il suo talento, il suo estro, la sua impressionante abilità artistica, la sua anticonvenzionalità, piuttosto che mettere in scena eventi puramente inventati, mirati ad attrarre più i fruitori di gialli, polizieschi e storie di sesso che gli appassionati di bellezza e cultura. Si poteva, in altre parole, pensare un po’ meno al mercato e un po’ di più alla verità storica, a beneficio di tutti. Non c’è bisogno di chissà quali clamorosi eventi per tenere viva la tensione emotiva della storia, basta saper narrare nel modo giusto. Un certo Luchino Visconti ce l’ha insegnato, non dimentichiamolo mai.

Detto questo, siccome questa rivista online si chiama TuscanyPeople, e tratta dell’eccellenza toscana in ogni sua forma, ci sentiamo pertanto chiamati a ristabilire la verità storica su Leonardo da Vinci che non ha bisogno di diventare un assassino o un salvatore di duchi per rifulgere nell’eternità del suo genio assoluto.

Riproduzione degli schizzi di Leonardo relativi all'Uomo Vitruviano

La vera storia di Leonardo da Vinci: la nascita di un genio

Leonardo da Vinci nasce il 15 aprile 1452 da un rapporto illegittimo tra il notaio Piero da Vinci e Caterina di Meo Lippi (o Caterina Buti del Vacca), una donna di modesta estrazione sociale. Il luogo di nascita di Leonardo si pensa sia la casa di ser Piero ad Anchiano, una frazione del Borgo di Vinci.

L’infanzia di Leonardo

Mentre Piero si prepara a tutt’altre nozze, per Caterina si cerca un marito che possa accettare la sua situazione compromessa, e alla fine si trova un contadino di Campo Zeppi, vicino a Vinci, tale Piero del Vacca da Vinci, detto l’Attaccabriga, che forse, come il fratello Andrea, è anche lui un mercenario.

Nello stesso 1452, Piero si sposa con Albiera di Giovanni Amadori, e il bambino Leonardo, nonostante il suo status d’illegittimo, viene accolto di buon grado nella casa paterna di Vinci. La matrigna, tuttavia, muore nel 1464, appena ventottenne, quando la famiglia ormai risiede a Firenze; siccome ser Piero si risposerà altre tre volte, Leonardo nel tempo si ritroverà con 12 fratellastri e sorellastre, tutti molto più giovani di lui – l’ultimo nasce quando Leonardo ha addirittura 46 anni – , coi quali intratterrà pochissimi rapporti, nonostante che, dopo la morte del padre, dovrà scontrarsi con loro per questioni d’eredità.

L’educazione nella campagna di Vinci

Vasari ipotizza un improbabile contatto col Verrocchio, a Firenze, già quando Leonardo da Vinci ha circa 10 anni. Fonti più recenti però ritengono che invece il piccolo genio resti in campagna, nella casa dei nonni; qui gli viene impartita un’educazione discontinua e disorganizzata, da parte del nonno Antonio, dello zio Francesco e del prete Piero che l’ha battezzato.

Il ragazzo impara infatti a scrivere con la sinistra e al rovescio, in maniera speculare alla corretta grafia. Vasari ricorda come il giovane nello studio cominciava “molte cose […] e poi l’abbandonava”.
Non potendo avviarlo alla carriera giuridica il padre decide di introdurlo alla conoscenza dell’abaco, anche se «Movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gl’insegnava, bene [che] spesso lo confondeva”.

Morto, nel 1468, il nonno di Leonardo (che lo cita nel testamento), l’anno dopo la famiglia del padre – divenuto notaio della Signoria fiorentina -, insieme con quella dello zio Francesco, iscritto all’Arte della Seta, risulta domiciliata in un’abitazione fiorentina, che sarà abbattuta nel Cinquecento, nell’attuale via dei Gondi, accanto a Piazza della Signoria.

Il borgo di Vinci in Toscana è il paese natale di Leonardo

La bottega del Verrocchio a Firenze

Il giovane Leonardo da Vinci palesa grande interesse nel “disegnare et il fare di rilievo, come cose che gl’andavano a fantasia più d’alcun’altra”. Così ser Piero, dal 1469 o dal 1470, lo manda nella bottega di Andrea del Verrocchio. In quegli anni è una delle più importanti di Firenze, vera e propria fucina di nuovi talenti, tanto che tra gli allievi figurano futuri grandi maestri del calibro di Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Perugino e Lorenzo di Credi.

Nella bottega del Verrocchio s’insegnano più tecniche: dalla pittura alla scultura (su pietra, fusione a cera persa e intaglio ligneo), fino alle arti minori. Ma in special modo si pratica il disegno, cercando d’uniformare l’abilità degli allievi, tanto che a tutt’oggi non è facile l’attribuzione di molte opere.

Nel 1472 Leonardo si trova menzionato nella Compagnia di San Luca dei pittori fiorentini, il che significa che adesso è già riconosciuto come pittore autonomo, sebbene la sua collaborazione col maestro Verrocchio si protrarrà ancora per diversi anni.

Il Battesimo di Cristo: gli interventi di Leonardo nell’opera del Verrocchio 

Il “Paesaggio con fiume”, un disegno con una veduta a volo d’uccello della valle dell’Arno, datato al 5 agosto 1473, è testimonianza della sua attenzione verso una narrazione autentica del mondo naturale, evidente soprattutto nella fase giovanile. Mentre il confronto serrato tra Leonardo e il maestro è testimoniato dal “Battesimo di Cristo” (Galleria degli Uffizi, Firenze), dipinto a più mani.

Secondo Vasari, ma con la conferma anche dalla critica moderna, è da attribuire a Leonardo l’angelo in primo piano, a sinistra, e il morbido paesaggio sullo sfondo, oltre a una risistemazione generale dello stile per amalgamare almeno tre mani diverse: Leonardo stesso, Verrocchio, e un altro allievo poco dotato. In quest’opera sono già evidenti alcuni motivi dello stile leonardesco che oltrepassano gli insegnamenti di bottega: l’attenzione agli elementi vegetali, la decorazione basata su motivi fluenti, l’espressività dei volti, spesso ritratti con un sorriso ambiguo. È innovativa anche la resa spaziale e atmosferica unificata, nonché i primi accenni a uno stile sfumato.

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Il Battesimo di Cristo, oggi agli Uffizi, dipinto da Verrocchio e Leonardo

Le prime opere indipendenti di Leonardo

Le prime opere indipendenti di Leonardo sono oggi datate tra il 1469 e i primi anni Settanta. La piena autografia della piccola Madonna Dreyfus (1469 circa, National Gallery of Art, Washington) mostra la vicinanza stilistica con la successiva Madonna del Garofano (1473 circa, Alte Pinakothek, Monaco): la gestualità familiare tra madre e figlio,  gli incarnati delicati, quasi trasparenti, l’ambientazione su sfondo scuro in cui, “alla fiamminga”, si aprono due finestre su un paesaggio luminoso.

Al periodo tra 1474 e il 1478 risale il “Ritratto di donna” (National Gallery of Art, Washington), identificata con Ginevra de’ Benci, figlia di un importante mercante fiorentino; ciò dimostra come Leonardo già riceva commissioni da parte della ricca borghesia cittadina. L’opera mostra sempre più chiari gli influssi della pittura fiamminga.

Il Ritratto di Ginevra de' Benci di Leonardo da Vinci

Cosa ha fatto Leonardo dal 1474 al 1478?

Una cosa piuttosto strana e misteriosa è che dal gennaio 1474 all’autunno del 1478 non si conoscono opere di Leonardo. Un silenzio singolare dato che la sua carriera sta decollando e che suo padre, influente e facoltoso lo manterrà almeno fino al 1480.

Si presume, quindi, che il poco più che ventenne Leonardo sia ancora indeciso sul proprio futuro; inoltre la frequentazione dell’anziano geografo e astronomo Paolo dal Pozzo Toscanelli lo stia sempre più avvicinando al mondo della scienza. Probabilmente ha anche modo di approfondire l’anatomia: assiste alla dissezione dei cadaveri nelle camere mortuarie degli ospedali. Inoltre studia anche la fisica e la meccanica con esperimenti diretti.

La denuncia per sodomia

Il 9 aprile 1476 – mentre Leonardo è ancora a bottega dal Verrocchio – gli Ufficiali di notte e de’ monasteri si vedono recapitare una denuncia anonima contro svariate persone, tra le quali appare anche l’artista. Il reato ipotizzato è quello di sodomia perpetrata verso il diciassettenne Jacopo Saltarelli, residente in via Vacchereccia. Nonostante a Firenze viga una certa tolleranza verso l’omosessualità, la pena prevista in casi simili è severissima: l’evirazione per i sodomiti adulti, la mutilazione di un piede o della mano per i giovani.

Oltre a Leonardo, tra gli inquisiti figura soprattutto Leonardo Tornabuoni, giovane rampollo della potentissima famiglia imparentata coi Medici. Il suo coinvolgimento gioca a favore degli imputati: l’accusa viene archiviata e Leonardo è libero.

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Copia degli schizzi anatomici di Leonardo sullo scheletro umano

Leonardo entra nella cerchia di Lorenzo il Magnifico

Sul finire del 1478, probabilmente il desiderio di pittura ritorna a farsi sentire come risulta da un’annotazione di Leonardo stesso sull’inizio di due Madonne: una di queste è la Madonna Benois, oggi all’Ermitage di San Pietroburgo.

Sempre di questi anni è l’approccio con Lorenzo il Magnifico e la sua cerchia, di cui fa parte anche il Verrocchio. Nei Codici vinciani si notano studi per consulenze militari e ingegneristiche, richieste probabilmente da Lorenzo stesso. Il 29 dicembre 1479 Leonardo ritrae il corpo impiccato di uno dei fautori della Congiura dei Pazzi: Bernardo di Bandino Baroncelli, l’assassino di Giuliano de’ Medici.

L’Anonimo Gaddiano (manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze) ricorda anche la sua frequentazione del Giardino di San Marco, una specie di museo all’aperto in cui è esposta la collezione di statue antiche dei Medici, al tempo stesso in cui lo scultore Bertoldo di Giovanni tiene una scuola d’arte alla quale, una decina d’anni dopo, parteciperà anche il giovane Michelangelo Buonarroti.

Disegno dell'impiccagione di Bernardo di Bandino Baroncelli di Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci a Milano

Fra la primavera e l’estate del 1482 Leonardo è a Milano – una delle poche città in Europa a superare i 100.000 abitanti – per conto, diciamo così, di Lorenzo de’Medici: per le sue politiche diplomatiche con le signorie italiane, il criptosignore fiorentino usava inviare i maestri cittadini come “ambasciatori” del predominio artistico e culturale di Firenze. Così Leonardo porta in omaggio a Ludovico il Moro una lira d’argento e pare che addirittura vi si cimenti vincendo su altri musici.

Perché Leonardo nel 1482 si trasferisce a Milano?

Leonardo probabilmente non si è trovato più tanto bene a Firenze; pensiamo che da un lato fosse asfissiato dalla cultura neoplatonica della cerchia medicea dedita a filosofia e lettere – proprio lui che si definiva “omo sanza lettere” -; dall’altro si fosse stancato del linearismo pittorico alla continua ricerca di una bellezza rarefatta e idealizzata da cui sta prendendo le distanze. È invece affascinato da Milano, città aperta alla tecnologia e alle novità scientifiche per le continue campagne militari. In una “lettera d’impiego” descrive quindi i suoi progetti di ingegneria, di opere idrauliche, di apparati militari, di architettura e, solo alla fine, di pittura e scultura, di cui occuparsi in tempo di pace, tra cui il progetto di un cavallo di bronzo per un monumento a Francesco Sforza.

Nonostante tutto, Milano gli ha riservato una tiepida accoglienza e lui ha incontrato diverse difficoltà con la lingua popolare, sebbene negli scritti degli anni successivi si ritrovino addirittura dei “lombardismi”.

Statua di Leonardo da Vinci in Piazza della Scala a Milano

Il primo incarico leonardiano nel milanese: la Vergine delle Rocce

Per un primo, vero incarico, deve attendere il 25 aprile 1483, quando Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell’Immacolata Concezione, gli commissiona una pala d’altare: si tratta dalla famosa Vergine delle Rocce.

Leonardo, nonostante la rigidezza dei termini contrattuali, la interpreta in maniera originalissima, raffigurando la scena del leggendario incontro tra San Giovannino e il Bambin Gesù nel deserto, e nascondendo riferimenti all’Immacolata Concezione nell’arido sfondo roccioso e nel modo in cui la Madonna vi si fonde attraverso un anfratto che sembra rievocare il mistero legato alla maternità.

Giulio Carlo Argan sottolinea come per Leonardo tutto sia immanenza: “Guarda infatti la realtà e la natura cogli occhi dello scienziato. Il paesaggio di quest’opera non è un paesaggio veduto né un paesaggio fantastico: è l’immagine della natura naturans, del farsi e del disfarsi, del ciclico trapasso della materia dallo stato solido, al liquido, all’atmosferico: la figura non è più l’opposto della natura, ma il termine ultimo del suo continuo evolvere“.

La Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci

Ritratti e progetti per Ludovico il Moro

Nei primi anni milanesi Leonardo continua con gli studi di meccanica e con le invenzioni di macchine militari. Per Ludovico il Moro progetta sistemi d’irrigazione, dipinge ritratti, appronta scenografie per feste di corte. Una lettera palesa, tuttavia, la sua insoddisfazione per i compensi ricevuti. Scrive, infatti, che in tre anni ha ricevuto solo 50 ducati, troppo pochi per sfamare “sei bocche”: la sua, quelle di tre allievi, quella di un uomo di fatica e quella della domestica Caterina, forse la madre naturale, al suo seguito dopo essere rimasta vedova.

La Belle Ferronière

Un tema ricorrente del periodo milanese è il ritratto, in cui l’artista pone a frutto gli studi anatomici avviati a Firenze. S’interessa soprattutto alle corrispondenze tra fisionomie e moti dell’animo, ossia gli aspetti psicologici e le qualità morali che traspaiono dalle caratteristiche esteriori. Uno famoso è la cosiddetta Belle Ferronnière, dama forse legata alla corte sforzesca, dagli occhi intensi che aristocraticamente evitano lo sguardo dello spettatore.

La Dama con l’Ermellino

Sempre da relazionarsi alla committenza ducale è il Ritratto di Cecilia Gallerani, detto la “Dama con l’ermellino”. La presenza dell’animale, oltre a richiamare il cognome della donna (galé in greco), allude anche all’onorificenza dell’Ordine dell’Ermellino, ricevuta nel 1488 dal Moro da parte di Ferdinando I di Napoli.

Le nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona

Negli anni successivi le commissioni ducali s’infittiscono. Leonardo si occupa delle decorazioni nel Castello Sforzesco, per le nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona; per l’evento l’artista inventa un cielo ricco di effetti speciali, giochi di luci e suoni, che resteranno vivi a lungo nella memoria dei contemporanei.

La Dama con l'ermellino, una delle più famose opere di Leonardo da Vinci

Il monumento equestre a Francesco Sforza

Leonardo avvia anche il grandioso progetto di un monumento equestre a Francesco Sforza; l’impresa è colossale, non solo per le dimensioni della statua, da fondersi in bronzo, ma anche per la postura del cavallo nell’atto di impennarsi e abbattersi sul nemico. L’artista passa interi mesi a studiare cavalli. Frequenta le scuderie ducali e osserva il rilassamento e la tensione muscolare degli animali. Tuttavia l’impresa viene sospesa per riprendere le celebrazioni del matrimonio Sforza-d’Aragona.

Dopo essere stato a Pavia, Leonardo rientra a Milano. Lentamente, il monumento equestre a Francesco Sforza che Ludovico il Moro vuole dedicare alla memoria del padre, arriva, nel 1491, alla fase finale: la messa in opera del modello definitivo – in cera e poi in terracotta -, per passare quindi alla fusione a cera persa del bronzo. L’impresa si presenta estremamente difficile per la grande quantità di bronzo fuso da versare, e Leonardo procede con calcoli sempre più minuziosi.

Alla fine del 1493 tutto è pronto per la fusione del “Colosso”, quando giunge una brutta notizia. Carlo VIII di Francia sta infatti calando in Italia per la guerra contro il Regno di Napoli aragonese. La domanda di bronzo per la fabbricazione di armi schizza alle stelle, il metallo viene a mancare, il progetto di Leonardo è vanificato. La sua delusione è tanta, anche perché la mancata realizzazione dell’opera impedisce il pagamento della commissione e gli causa nuovi problemi economici.

La più grande statua equestre del mondo si trova a Milano ed è opera di Leonardo da Vinci

L’Ultima Cena di Leonardo nel cenacolo del Convento di Santa Maria delle Grazie

Ma a far dal contraltare, nel 1494, ecco che Leonardo riceve una commissione per il Convento di Santa Maria delle Grazie, in cui ha finito da poco di lavorare Bramante. Il luogo è caro a Ludovico il Moro ed è destinato alla celebrazione della famiglia Sforza. Per la decorazione del refettorio – un ambiente rettangolare dove i frati domenicani consumano i pasti – si decide di affrescare le pareti minori con temi tradizionali. A Leonardo viene affidata l’’Ultima Cena, e il genio non si fa sfuggire l’occasione. È infatti l’opera in cui riversa, come in una summa, tutti gli studi compiuti in questi ultimi anni.

Il racconto di Matteo Bandello durante la realizzazione dell’affresco

Il novelliere Matteo Bandello, che conosce bene Leonardo, scrive: “ [l’ho visto] la matina a buon’hora a montar su’l ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva dal nascente Sole sino all’imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare et il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì, che non v’averebbe messo mano, e tuttavia dimorava talhora una o due ore al giorno e solamente contemplava, considerava et essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L’ho anche veduto (secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava) partirsi da mezzogiorno, quando il Sole è in Leone, da Corte Vecchia ove quel stupendo Cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Gratie: et asceso sul ponte pigliar il pennello, et una o due pennellate dar ad una di quelle figure e di subito partirse et andare altrove».

Tecniche e innovazioni del Cenacolo leonardiano

Leonardo attinge alla tradizione fiorentina dei cenacoli, reinterpretandola in modo molto originale; pone infatti maggior enfasi sul momento drammatico in cui Cristo afferma: “Qualcuno di voi mi tradirà”, e sul conseguente turbamento degli apostoli. Questi sono ritratti in gruppi di tre, come una serie di onde emotive successive, al cui centro rimane la figura isolata, dominante, di Gesù. Cambia inoltre l’iconografia tradizionale; Giuda infatti non  è rappresentato da solo su una parte del tavolo, ma accanto agli altri, sul medesimo lato, rivolto allo spettatore.

Leonardo incontra problemi con la tecnica dell’affresco; i veloci tempi di asciugatura dell’intonaco esigono un tratto deciso, rapido, non compatibile coi lunghi studi, le velature, e la sua caratteristica pennellata molto fine. Per questo inventa una tecnica mista di tempera e olio su due strati di intonaco, che rallenta le fasi di esecuzione dell’opera, conclusa nel 1498.

Perché l’Ultima Cena è stata restaurata tante volte

Purtroppo però l’esperimento si rivela gravemente inadatto a un ambiente umido come il refettorio che ha la parete comunicante con le cucine. Già nel 1517 si annotano le prime perdite di colore. Da allora si susseguono restauri e ridipinture. L’occupazione napoleonica e la Seconda Guerra Mondiale, poi, compromettono ancora di più il capolavoro a cui pone parziale rimedio il capillare restauro terminato nel 1999.

L'Ultima Cena, una delle più famose opere di Leonardo da Vinci

La morte della madre Caterina e il ritorno a Firenze

Nel 1496 probabilmente muore la madre di Leonardo; Ludovico il Moro nel 1498 gli dona una vigna; nel 1499 l’artista abbandona Milano occupata dai francesi. Dopo aver errato tra Mantova e Venezia, nell’aprile del 1501 è di nuovo a Firenze, dove non mette piede da vent’anni.

Nonostante il padre Piero sia ancora vivo, non si reca in casa dai fratellastri in lite per l’eredità; trova invece accoglienza presso il canonico Amadori, fratello della matrigna Albiera, a Fiesole.

Firenze è cambiata. Morto Lorenzo il Magnifico, cacciato il figlio Piero, si è di nuovo restaurata la Repubblica, con a capo il gonfaloniere Pier Soderini. Nuovi grandi artisti sono in forte ascesa, tra cui Michelangelo, di oltre vent’anni più giovane di Leonardo, col quale non corre, né mai correrà, buon sangue.

La nuova polvere da sparo per Cesare Borgia

Nel 1502 Leonardo viene assoldato da Cesare Borgia – figlio di papa Alessandro VI, il feroce Duca del Valentino -,  come architetto e ingegnere militare. Per lui crea un nuovo tipo di polvere da sparo, formata da una miscela di zolfo, carbone e salnitro; studia inoltre macchine volanti e strumenti per la guerra sottomarina. Al seguito del Valentino assiste anche a una delle più sanguinose e crudeli campagne del momento: l’attacco a tradimento contro Urbino. E proprio a Urbino, Leonardo stringe rapporti d’amicizia con Niccolò Machiavelli, probabilmente già conosciuto a Firenze.

Il progetto di deviazione del corso dell’Arno

Dal marzo 1503, eccolo di nuovo a Firenze. Ad aprile Pier Soderini lo incarica di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio, opera grandiosa per dimensioni e ambizione. Nel luglio dello stesso anno, la Repubblica gli affida anche un complesso progetto idraulico-militare per lo sbarramento dell’Arno, così da farlo deviare contro la ribelle Pisa. Il progetto però fallisce per un errore di calcolo che fa infuriare il Soderini.

Il modello del carro armato disegnato da Leonardo da Vinci

L’affresco nel Salone dei Cinquecento: la Battaglia di Anghiari

Tornato in città da Pisa, Leonardo si dedica allora all’affresco in Palazzo Vecchio. Nel Salone devono essere raffigurate alcune vittorie militari dei fiorentini a celebrazione del principio di libertasrepubblicana contro nemici e tiranni. A Leonardo è affidato un episodio degli scontri tra esercito fiorentino e milanese del 29 giugno 1440, la Battaglia di Anghiari; sulla parete opposta dovrebbe lavorare Michelangelo Buonarroti, con la Battaglia di Cascina del 29 luglio 1364, contro i Pisani. Ma, per ragioni diverse, nessuna delle due pitture murali è portata a termine.

Leonardo studia anche una nuova tecnica che lo sollevi dai tempi brevi dell’affresco, recuperandola dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio: l’encausto. Ma, come per l’Ultima Cena, anche questa scelta si rivela purtroppo inadatta quando ormai è troppo tardi. La vastità del dipinto non permette di raggiungere, coi fuochi, una temperatura sufficiente a far essiccare i colori che colano sull’intonaco, tendendo ad affievolirsi, se non a scomparire. Nel dicembre del 1503 l’artista interrompe così il trasferimento del dipinto dal cartone alla parete, incassando un nuovo insuccesso.

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La Battaglia di Anghiari, dipinto di Leonardo da Vinci nel Salone dei Cinquecento a Firenze

Il rapporto tra Leonardo e Michelangelo

A proposito del rapporto tra Leonardo e Michelangelo, se ne dicono tante, ma di sicuro rimane sempre difficile, per differenza di età e caratteri; il genio di Vinci è riflessivo, rigorosamente scientifico, versatile mentre il Maestro di Caprese Michelangelo è l’opposto: impulsivo, ribelle, idealista.

Nel Trattato della pittura, Leonardo condanna gli “eccessi anatomici e la retorica muscolare” tipici dello stile michelangiolesco, pur senza mai citarlo direttamente.

L’Anonimo Gaddiano, in una novella, racconta che i due s’incontrano presso Piazza Santa Trinita. Michelangelo, polemico e sprezzante, incalza Leonardo circa l’interpretazione di un verso dantesco. Ma Leonardo, reticente, schivo, non fa altro che provocare l’ira dell’altro che lo deride circa il fallito progetto del cavallo di bronzo: “Et che t’era che creduto da que’ caponi de’ Milanesi?” termina.

Inoltre c’è un altro episodio che vede i due direttamente coinvolti: completato il David di Michelangelo, il 25 gennaio 1504 i più importanti artisti fiorentini vengono chiamati in commissione per decidere l’esatta collocazione della statua in Piazza della Signoria.

Leonardo consiglia una posizione defilata nella Loggia della Signoria, magari dentro una nicchia “in modo che non guasti le cerimonie delli ufficiali“. Il Buonarroti, che logicamente pretende per il suo capolavoro più visibilità, protesta; alla fine prevale la proposta di Filippino Lippi: la statua verrà posta all’aperto, in posizione dominante, davanti a Palazzo Vecchio, l’edificio più importante della città.

La morte di Piero da Vinci e l’esclusione dall’eredità

Il 9 luglio 1504 muore il padre Piero, che lascia “10 figlioli maschi e due femmine”. Leonardo, figlio illegittimo, non figura come erede e, nonostante promuova una causa giudiziaria, viene totalmente escluso dall’eredità.

La copia del David di Michelangelo in Piazza Signoria a Firenze

La Gioconda: il massimo capolavoro di Leonardo da Vinci

Questi sono anche gli anni del massimo capolavoro di Leonardo: la Gioconda. La donna dipinta viene per tradizione identificata con Lisa Gherardini, nata nel 1479 e moglie di Francesco Bartolomeo del Giocondo, da cui il nome del quadro.

Opera iconica della pittura mondiale, è senz’altro il ritratto più celebre della storia, nonché una delle opere d’arte più famose in assoluto. Il suo misterioso sorriso, quasi impercettibile, ha ispirato infinite pagine di critica, letteratura, opere d‘immaginazione e perfino studi psicoanalitici.

Cosa ritrae la Gioconda?

Il quadro mostra una donna seduta a mezza figura, girata a sinistra, ma col volto quasi frontale ruotato verso lo spettatore. Le mani, in primo piano, sono morbidamente adagiate sul grembo, mentre sullo sfondo si apre un paesaggio fluviale. La figura indossa una pesante veste scollata, ricamata lungo il petto, e maniche in tessuto diverso, secondo la moda attuale. In testa porta un velo trasparente che tiene fermi i lunghi capelli sciolti ricadenti sulle spalle adornate da un leggero drappo.

L’esecuzione pittorica è sublime: non si colgono tracce di pennellate grazie al morbidissimo sfumato. Leonardo, inoltre, ottiene una resa atmosferica magistrale riuscendo a legare indissolubilmente lo sfondo al soggetto in primo piano. L’introspezione psicologica, poi, è di rara profondità. Tutta l’impostazione trova le sue fondamenta nella classica ritrattistica del Quattrocento; è però l’eccezionale naturalezza del personaggio, così distante da pose ufficiali, formali, a rendere il quadro una pietra miliare della nuova ritrattistica con cui si apre il Rinascimento maturo.

La Gioconda o Monna Lisa, opera di Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci e gli studi su volo e aerodinamica

In questi anni Leonardo si dedica allo studio del volo e al progetto di una nuova macchina volante. La sua più grande sfida è far volare l’uomo. Scrive un trattato sul volo, ma non ne completa la stesura. Nel 1505, tuttavia, compila il Codice sul volo degli uccelli in cui progetta la sua macchina volante più evoluta: il Grande Nibbio.

In alcuni casi mette in opera le macchine volanti che inventa, come sembra confermare un suo appunto autografo: “Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al nido dove nacque”. Si pensa che Leonardo abbia addirittura sperimentato il volo tramite Tommaso Masini, detto “Zoroastro”, suo attendente fidato, facendolo decollare dalla collina di Fiesole. Ma è solo un nuovo insuccesso: pare infatti che il malcapitato cada rovinosamente rompendosi anche una gamba.

Ricostruzione di una macchina volante sui disegni di Leonardo da Vinci

La partenza del genio per la Francia

Dopo essere stato a Milano presso il governatore francese Charles d’Amboise, morto nel 1511 il suo mecenate, nel settembre del 1514 Leonardo parte per Roma. Qui trova il favore di Giuliano de Medici, fratello di papa Leone X. Nella città eterna si occupa di vari lavori, tra cui il prosciugamento delle Paludi Pontine (mai eseguito), ma non fa niente di memorabile, anzi, gli si preannuncia la sua anzianità col primo di una serie di ictus che lo condurrà alla morte.

Nel 1517 Leonardo parte per la Francia. È  alloggiato dal re nel castello di Clos-Lucé, vicino ad Amboise; qui gode di alta reputazione ed è onorato del titolo di Premier peintre, architecte, et mecanicien du roi, con una pensione di 5.000 scudi.
Francesco I è sovrano colto e raffinato, amante dell’arte, soprattutto italiana. Gli anni francesi sono sicuramente il periodo più sereno della vita di Leonardo; nonostante sia indebolito dalla vecchiaia e da una probabile trombosi cerebrale che gli paralizza la mano destra, assistito da due fedeli allievi, prosegue con passione i propri studi.

Il Palazzo di Romorantin per Luisa di Savoia

Leonardo progetta il palazzo reale di Romorantin, che Francesco I vuole edificare per la madre Luisa di Savoia. In sostanza è il progetto di una cittadina per cui l’artista prevede lo spostamento di un fiume così da fertilizzare la campagna intorno.

Curatore di feste e apparati per Francesco I

Partecipa anche alle feste per il battesimo del Delfino e a quelle per le nozze di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino. Come curatore di feste e apparati, si ricorda il lavoro messo in scena a Lione, nel 1515, e quello ad Argenton, nel 1517: in entrambi i casi per festeggiare la presenza di Francesco I. Stupefacente l’automa del leone, in grado di camminare e poi fermarsi aprendosi il petto, “tutto ripieno di gigli e diversi fiori, […] che fu di tanta meraviglia a quel re”.

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Il castello di Clos-Lucè ad Amboise, Francia, è l'ultima residenza di Leonardo da Vinci

Il testamento di Leonardo da Vinci

Il 23 aprile 1519 Leonardo redige il suo testamento. Dispone di essere sepolto nella chiesa di San Fiorentino, con una cerimonia funebre accompagnata da cappellani e da frati minori, oltre che da 60 poveri, ciascuno reggente una torcia. Richiede, inoltre, la celebrazione di 3 messe solenni, con diacono e suddiacono, e di 30 messe “basse” a San Gregorio, a Saint-Denis e nella chiesa dei francescani.

A Francesco Melzi, esecutore testamentario, lascia “li libri […] et altri Instrumenti et Portracti circa l’arte sua et industria de Pictori”, oltre alla collezione dei disegni e del guardaroba. Al servitore De Vilanis e al Salaì lascia la metà per ciascuno di “uno iardino che ha fora de le mura de Milano […] nel quale iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa”; alla fantesca Maturina, dei panni e due ducati; ai fratellastri fiorentini il suo patrimonio nella città toscana, cioè 400 scudi depositati in Santa Maria Nuova e un podere a Fiesole.
Alla fine, evidentemente, nonostante la lite, prevale la sua magnanimità.

Leonardo da Vinci il più grande genio di tutti i tempi viene considerato anche il primo enologo e sommelier della storia dell'umanità

La morte di Leonardo da Vinci

L’ultima data presente su un manoscritto di Leonardo da Vinci è del 24 giugno 1518. Intento a calcoli di geometria, i suoi studi sono bruscamente interrotti con un “eccetera, perché la minestra si fredda!”. È un rarissimo caso di annotazione istintiva di vita quotidiana, che ci rende la dimensione umana del personaggio. Leonardo, incalzato dai richiami di qualcuno, forse dalla domestica Mathurine, deve rompere la concentrazione per mangiare.

Leonardo da Vinci muore pochi giorni dopo, il 2 maggio, presso il maniero di Clos-Lucé ad Amboise, all’età di 67 anni. Francesco I lo piange sconsolatamente.

Il funerale a Saint-Florentin ad Amboise

Il 12 agosto viene inumato nel chiostro della chiesa di Saint-Florentin, ad Amboise. Cinquant’anni dopo la tomba viene violata e le sue spoglie sono disperse nei disordini delle lotte religiose tra cattolici e ugonotti.
Nel 1874, alcune ossa ritrovate e attribuite a Leonardo vengono poste nella cappelletta di Saint-Hubert, presso il castello di Amboise.

Il racconto della vera vita di Leonardo da Vinci

Questa è la vera storia di Leonardo da Vinci, il più grande genio universale di tutti i tempi. Forse questo articolo, al contempo ampio per il web e angusto per un argomento di tale portata, non aggiungerà niente alla figura di Leonardo e all’aura di mistero che la circonda, ma se non altro potrà servire a ristabilire alcune corrette verità storiche, forse troppo disinvoltamente compromesse da artistiche, fantasiose, rappresentazioni.

E poi, in ultima analisi, ci domandiamo: è davvero così importante svelare il mistero e l’ambiguità che avvolge Leonardo da Vinci? O forse non sarebbe meglio lasciare che la sua leggenda si alimenti proprio di quell’arcana enigmaticità sopravvissuta finora?

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La Cappella di Saint-Hubert ad Amboise dove si trova la tomba di Leonardo da Vinci

Ai lettori l’ardua sentenza

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Foto Vinci ©StevanZZ

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